lunedì 23 giugno 2008

La vera storia del PD in un solo articolo

Anche in questa occasione, per scansare il pericolo che non venga letto, niente link, se non quello del blog che l' ha segnalato: Centrodestra.

Dunque, riporto per  intero questo straordinario articolo dell' ex-piddino Peppino Caldarola pubblicato da Il Riformista.

Inutile dire che lo considero "straordinario" non solo per l' ovvio motivo che picchia duro sul PD, ma perchè si tratta di una analisi fatta dall' interno ma che rispecchia ESATTAMENTE quel che penso io di quel partito da quando è nato.

Dunque, straordinario perchè mi dà ragione e a tutti piace avere ragione! (A me provoca orgasmi multipli, probabilmente perchè non mi capita spesso :-) ).

Ecco il testo che appare sotto il titolo "Addio, PD. Grazie a te ho lasciato la politica":

Torno all’Assemblea del Pd, per l’ultima volta. L’ultima volta da giornalista-delegato. La prossima mi farò fare il "passi-stampa". Non mi batte il cuore, anche se a questo partito devo molto. Grazie al Pd ho lasciato la politica. Non sono solo, ma provo una tranquilla ebbrezza a ritrovarmi, come a sedici anni, un apolide di sinistra. Ci sono quelli che si sono innamorati del Pd prima che ci fosse. E quelli che se lo sono fatti bastare quando hanno capito che ci sarebbe stato comunque. Io l’ho combattuto, poi ho creduto di trovarmi di fronte a un’altra cosa e ho detto «vengo anch’io». Quel che c’era prima del Pd l’ho raccontato tante volte, anche in presa diretta, su questo giornale. Per tre mesi di follie ho fatto più autocritiche io di un trockista nel Pcus.

E andata pressappoco così. Una sinistra che non voleva più essere sinistra si fa soggiogare dal fascino del grande partito all’americana che avrebbe dovuto far fare le acque agli ex-qualcosa. Una sorta di Baden Baden politico per redditieri impoveriti venuti alla stazione termale a sperperare gli ultimi denari e per ex combattenti provati da tante battaglie in cerca di riposo e belle compagnie. Aria triste e futile. Il partito di prima, i Ds, a cui tanti, ma non tutti i democrats, appartenevano, non lo amava nessuno.

Era il figlio della colpa. Pargolo secondogenito del grande partito comunista, frutto del capriccio di D’Alema, transitorio per definizione fino a diventarlo per destino quando lo prese in mano Fassino. Macaluso direbbe un partito del ni. Nato male, cresciuto peggio, destinato a morire.

Il Pd sembrava anche agli ex democristiani l’approdo obbligato e indesiderato. Mentre i cattolici scappavano a destra dietro il pifferaio Ruini, gli ex popolari, tornati democristiani d’antan visto che c’erano da spartire posti, immergendosi nel Pd pensavano di avere gioco facile con quei comunisti sconvolti dai sensi di colpa e dalle abiure. Al Pd credevano solo Prodi e Veltroni. Prodi credeva a una cosa che ha chiamato Pd ma era una maionese impazzita. Un Ulivo più grande, un partito unico "ma anche" un’Unione con i neo comunisti e i Verdi da combattimento. Insomma, con buona pace di Parisi, il Pd di Prodi era Pd solo perché c’era Prodi. Sotto il vestito niente.

Il Pd era il Pd solo con Veltroni. L’ex direttore de l’Unità che aveva pubblicato e commentato Kennedy prima di imparare l’inglese è stato l’unico vero sostenitore del Pd- doc. Dicesi Pd-doc nella improvvisata traduzione italiana, il partito che non è di sinistra ma neppure di destra, che è compassionevole con i morti di fame ma severo con i rom e i rumeni-romani, liberista in economia e statalista in Rai, plebiscitario, liquido quanto basta a sciogliere D’Alema, pigliatutto fino ad attrarre Folena e Nicola Rossi. Un partito di buoni spietati. Fratricidio e opere di bene. Ci fu chi vide che la maionese impazziva e chi no (io no). Nacque il Pd.

La prima assemblea costituente a Milano fu un casino ben organizzato. Delegati eletti nel giorno del plebiscito per Veltroni. Mi catapultarono ad Anzio. «Prenderemo scarsi mille voti», mi disse il segretario di sezione della zona. Ne prendemmo il doppio. Entusiasmo, nuovismo a go-go, sembrava il ‘68, verso la fine, quando le assemblee erano ancora affollate ma dentro si organizzavano partiti, partitini, gruppi rigorosamente gerarchizzati.

Veltroni nomina a tutto spiano. Tutti ebbero un incarico o la promessa di un ruolo. A mano a mano che la partecipazione politica si restringeva, che i vecchi elefanti organizzavano il branco superstite per resistere alla polvere sollevata da mandrie di zebre senza guida, centinaia di persone si potevano mettere all’occhiello un grado o un’onorificenza.

Il partito all’americana in Italia si fa così. Partito fai-da-te, partito senza sindacato alle spalle, senza lobby a proteggerlo, tutto coca-cola e rock and roll. Un partito molto radical ma benevolente verso Berlusconi. Un partito talmente presuntuoso da mandare al diavolo tutta la sinistra possibile. Un partito che agli operai e contadini sostituisce magistrati e cancellieri. Un nuovo blocco storico.

Poi il gioco si rompe. Prodi se ne va. Il Cavaliere si scoccia di aspettare Walter e se ne va anche lui. Al voto, al voto. Tutti a dire, vedrete cosa combinerà Walter con le liste, intellettuali famosi, registi da Oscar, scrittori da centomila copie. Invece del trionfale valzer viennese, braccia a mezza altezza per il cha-cha-cha della segretaria. Si perde alla grande. Si riperde a Roma. Si straperde in Sicilia. Non succede niente. Forse, si sente dire, non è neppure vero che abbiamo perso. Così tutti tornano a casa. Quella grande non c’è più. Restano quelle due-tre camere vista mare a Torvaianica. Io vado in montagna, da solo.

Add to Technorati Favorites
HOME

2 commenti:

Nico ha detto...

Paraffo... la fine delle pubblicazioni, almeno in forma pubblica, del Blog vaicolmambo (di Peppino Caldarola).
E' stata per me una perdita grandissima, e leggere questo articolo me lo conferma ulteriormente...

*paraffo* ha detto...

Per mancanza di informazioni su Caldarola, caro Nico, non posso associarmi al tuo dolore. Ma immagino quel che intendi e condivido.

Sto scrivendo un altro post, sotto forma di appello a D' Alema perchè salvi il PD ...

A dopo! Ciao!