venerdì 25 aprile 2008

Ricolfi: PD, ma quale rimonta?!

(nella foto, una rimonta in perfetto stile veltroniano)

Ennesima analisi elettorale, aggiornata e approfondita, del "nostro" Ricolfi. Da non perdere!

La Stampa
25/4/2008
PD, macchè rimonta

Luca Ricolfi
Se fra uno o due anni si tornasse a votare, non mi stupirei che l’Udc sparisse, la sinistra estrema tornasse in Parlamento, e il Pd perdesse fra il 5 e il 10% dei suoi consensi attuali. Sto scherzando, naturalmente, perché chissà quante cose saranno successe nel frattempo. Ma queste tre finte profezie mi aiutano a dire che cosa, secondo me, si nasconde negli ultimi risultati elettorali. L’Udc, è vero, è riuscita a restare in Parlamento, ma nel valutare il suo risultato si dimentica che - lista di Giuliano Ferrara a parte - votare Udc era l’unico modo che i cattolici avevano a disposizione per esprimersi: nel 2006 c’erano anche l’Udeur, la Dc di Rotondi, la Margherita.

Già oggi gli elettori che hanno votato Udc sia nel 2006 sia nel 2008 sono meno del 4% dei votanti, cui si aggiunge un 2% scarso di transfughi da altri partiti, cattolici e non: se il bipolarismo Pd-Pdl dovesse rafforzarsi, e inoltre l’Udc dovesse risultare tagliata fuori dai giochi di governo, è verosimile che molti elettori cattolici tornino a scegliere fra i due poli principali, per non disperdere il proprio voto. Diversa è la situazione dell’estrema sinistra. A mio parere essa finirà per restare fuori del Parlamento, ma solo perché è guidata da persone del tutto prive di senso comune, e non perché gli elettori di sinistra siano scomparsi come i dinosauri. Già oggi la sinistra estrema - sommando Sinistra Arcobaleno e formazioni minori - raccoglie oltre il 4% dei voti, mentre un altro 2% o 3% potrebbe tornare all’ovile, dopo essere stato inutilmente sacrificato sull’altare del Pd per «sconfiggere Berlusconi». In breve: se restasse tutta unita, e fosse guidata da una persona normale (non satura di ideologia), la sinistra estrema potrebbe tornare in Parlamento e - aggiungo io - farebbe anche del bene alla nostra democrazia.

Resta il Pd. Capisco che i suoi dirigenti non possano che ripetere quel che ripetono: il Pd ha suscitato entusiasmo e speranze, la nostra rimonta è stata formidabile, il risultato finale è buono, in così poco tempo non si poteva fare di più, eccetera eccetera (curioso, comunque, dopo mesi di slogan come «yes we can», o «si può fare»). Però ora abbiamo i dati delle elezioni politiche, i risultati di alcune consultazioni amministrative, le stime dei flussi elettorali. Ebbene, se analizzati con cura quei dati tracciano un quadro un po’ diverso da quello ottimistico che molti vi hanno voluto vedere (eccezione importante, un articolo di Roberto Gualtieri sul Riformista). Primo. L’arretramento della sinistra nel suo insieme è drammatico. Il distacco fra destra e sinistra, che era pari a zero nel 2006, in soli due anni è salito a quasi 11 punti, ed è oggi molto maggiore di quello del 2001, quando Berlusconi stravinse le elezioni (allora il distacco era dell’ordine di 2-5 punti, a seconda del metodo di calcolo). Tanti elettori di sinistra hanno votato a destra, pochi elettori di destra hanno votato a sinistra.

Secondo. Della famosa super-rimonta di Veltroni non c’è traccia nei sondaggi della campagna elettorale, che talora segnalano un piccolo recupero, talaltra segnalano addirittura un lieve arretramento. Terzo. Secondo le analisi di flusso, che misurano gli spostamenti effettivi (fra 2006 e 2008), il Pd è riuscito ad attirare da destra a sinistra solo l’1,5% dei voti, per lo più sottraendoli ad An, mentre è parzialmente riuscito nell’opera di «cannibalizzazione» delle altre formazioni di sinistra, estrema e non. Quarto. Se si tiene conto che il Pd, oltre a Ds e Margherita, ha incorporato sotto il proprio simbolo i radicali, i voti del Pd nel 2008 sono di pochi decimali al di sopra di quelli del 2006. Quinto. Sottraendo i voti presi in prestito alla Sinistra Arcobaleno, il risultato del Pd nel 2008 risulta decisamente peggiore di quello del 2006 (-2,8), e ciò vale sia al Nord, sia al Centro, sia al Sud: al netto del «soccorso rosso», il «valore aggiunto» del Pd pare dunque negativo (con tre eccezioni: la circoscrizione Lazio 1, la Basilicata, la Puglia). Ecco perché penso che, se si votasse oggi, il Pd perderebbe colpi e si attesterebbe intorno al 30% (il valore storico del vecchio Pci), mentre la Sinistra Arcobaleno potrebbe anche tornare in Parlamento: per determinare questo esito, infatti, basterebbe che la metà di quanti hanno prestato il loro voto per «fermare Berlusconi» ritirassero il prestito, e decidessero di impiegarlo per garantire la sopravvivenza di una lista di estrema sinistra.

Si potrebbe concludere che la vittoria di Berlusconi è stata un trionfo, e che il «buon risultato» di Veltroni in realtà nasconde una disfatta. C’è una piccola complicazione, però. I sondaggi degli ultimi mesi segnalano piuttosto chiaramente che la fiducia dell’elettorato di centro-destra in Berlusconi è sempre rimasta decisamente bassa, più o meno ai livelli cui era scesa alla fine del quinquennio 2001-2006. Ciò significa che il repentino e massiccio «spostamento a destra» che appare dai risultati elettorali (oltre 10 punti rispetto al 2006) non è il frutto dell’ennesimo innamoramento degli italiani per Berlusconi, bensì del fatto che il messaggio di Veltroni è risultato ancora meno credibile di quello del suo «principale competitore». Ci sarà tutto il tempo per capire come mai un popolo non certo entusiasta di Berlusconi ha preferito affidarsi per la terza volta a lui piuttosto che mettersi nelle mani di Veltroni. Per riuscire nell’intento, tuttavia, occorrerà dismettere del tutto la retorica dell’autoconsolazione, e cominciare a guardare in faccia i due dati fondamentali del voto del 13 aprile: il risultato della sinistra è stato un disastro, il «valore aggiunto del Pd» resta un teorema in attesa di dimostrazione.

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Ottima analisi

www.sinistralucana.org