Splendido articolo di Enzo Bettiza, sulla Stampa. Il ritratto che fa del risultato elettorale, della Lega e del Pdl sono un contributo prezioso a chi voglia capire bene cosa sia successo, cosa sta succedendo e cosa, presumibilmente succederà in questo questo paese.
Devo, però, confessare che questo mio entusiasmo è un po' (molto) interessato nel senso che mi sono visto confermare da un grande giornalista, scrittore e osservatore delle umane faccende nazionali ed internazionali, uno dei caposaldi della mia analisi politica: l' affollamento, nel PDL, come nella Lega, di ex-democristiani, ex-marxisti di tutte le tonalità (dal rosso acceso al rosato) e da ex-fascisti.
Donde la necessità, per noi blogghisti liberali di centrodestra, di vigilare attentamente sull' operato del prossimo governo.
La Stampa
19/04/2008
Un venticello vien da Pontida
Enzo Bettiza
Soltanto in questi giorni d'inizio della grande svolta si riesce a capire che la «Seconda Repubblica» non è morta per il semplice fatto che non era mai esistita. È morta invece definitivamente la Prima di cui la «Seconda» non era che un'ombra storta e contorta: una protesi sgangherata tenuta artificiosamente insieme dal 1994, per quindici anni, fra tintinnii di manette e ribaltoni, con i cascami e i trasformismi dei due principali partiti di massa nati nel dopoguerra.
La democrazia cristiana ha continuato a sopravvivere disintegrata in spezzoni erratici; lo zoccolo duro del partito comunista, metamorfosato, ha seguitato a riorganizzarsi sotto nuove spoglie occidentalizzanti e botaniche; le schegge comuniste più nostalgiche, ossessionate dal naufragio sovietico, non hanno saputo fare altro che contestare l'esistente, aggrappandosi ai vecchi miti classisti e aggirandosi a tentoni in un anacronistico bric-à-brac di falci e martelli arrugginiti.
Certamente Silvio Berlusconi, nelle sue prime versioni di uomo di governo e d'opposizione, era già il personaggio nuovo e di rottura che abbiamo conosciuto. Demagogicamente apolitico, comunicatore di stile irrituale e popolare, in sintonia epidermica con una massa di elettori delusi, irritati dal latinorum indecrittabile dei politici di mestiere, egli si presentava sulla scena come l'uomo di successo che avrebbe saputo dare all'Italia smarrita e impoverita il lustro di una Mediaset grandiosa. Ma la Forza Italia del tempo era assai meno nuova del suo leader scalpitante. Più che un partito, era un accogliente asilo per scampati dei vecchi partiti, una balena fra bianca e rosa, nel cui ventre accogliente, privo di paratie, si stipavano confusamente democristiani, socialisti, transfughi comunisti, liberali, repubblicani, laici e cattolici generici. Il vero partito era lui, Berlusconi, con la sua immagine ridente e ubiqua, l'ottimismo costruttivo, la promessa di rigenerazione universale. La novità, insomma, era l'uomo.
L'autentica novità partitica, emergente già negli anni di prolunga della Prima Repubblica, era invece la Lega Nord di Bossi. Anzi, direi, il fatto nuovo era la Lega in sé, più che il pittoresco personaggio Bossi che l'aveva ideata e promossa con un fiuto più sottile delle sue metafore celtiche e un impeto di tribuno più robusto della sua salute. Non aveva torto D'Alema quando, invitato negli Anni 90 a un consesso leghista, epoca in cui Bossi veniva censurato o irriso da tanti commentatori, precorse i tempi certificando la Lega come «una costola della sinistra». Non solo da quella parte provenivano Bossi e diversi compagni di Bossi. Non solo si è recentemente scritto che la Lega è il vero erede del capillare talento organizzativo del Pci. Ma, oggi, constatiamo che la patente di sinistra concessa al leghismo padano da D'Alema una decina d'anni orsono, conteneva un elemento forse non involontario di profezia: è infatti a sinistra, fra i metallurgici della Fiom, gli operai della Fiat, i camalli di Genova, addirittura fra molti elettori della rossa Emilia Romagna, che la Lega ha raccolto e ottenuto uno straordinario successo durante le elezioni.
Successo sorprendente e inatteso dalla maggioranza degli osservatori? Sì, ma non da quelli che vengono dalla dirigenza del sindacato, che sentono il polso delle piazze, che fiutano da sindaci gli umori municipali e provinciali. Mi riferisco all'intelligente reazione di Sergio Cofferati, che ha smentito chi «pensa che quelli alla Lega siano voti di protesta» e ha ipotizzato perfino la necessità di costruire, da sinistra, un quasi autonomo «partito democratico del Nord» modellandolo come la Lega su strutture comunitarie e regionali. «Noi siamo parte del Settentrione, non del Centro», ha detto il sindaco di Bologna suscitando, nella stessa sinistra riformista emiliana, malumori ma anche molte approvazioni.
Lo si chiami come si voglia, regionale, municipale, territoriale, interclassista, comunitario, il successo della Lega sta comunque diffondendo un contagio psicologico e un interesse politico che vanno al di là del voto operaio. Più del secessionismo, che resta sempre metaforico nello sfondo, sono altri i temi scottanti agitati dalla Lega che attirano pure l'attenzione dei ceti medi che hanno votato Veltroni o stavano per votarlo. Imprenditori piccoli e medi, regionalisti meridionali a partire dalla Sicilia, perfino i dipietristi all'interno del Pd, che dopo la sconfitta della coalizione vorrebbero costituire gruppi parlamentari separati, hanno cominciato a tendere l'orecchio alle proposte leghiste. La sicurezza, la difesa della società impaurita, le politiche dell'immigrazione, il municipalismo forte, il federalismo fiscale stanno reclutando proseliti e imitatori anche fra quelli che mai avrebbero vagheggiato la folgorazione sulla via di Pontida. Lo stesso Berlusconi, che dal consistente voto della Lega ha ricevuto, insieme, una legittimazione e un monito alla sua leadership, ha già capito benissimo che il gioco politico sarà molto più stretto e più difficile con Bossi che con Fini: la porta sbattuta dal capo leghista al primo vertice collegiale dei vincitori, accompagnata dalla frase «io parlo solo con il Cavaliere», contiene il preannuncio, se non di un programma, di un comportamento indipendente e all'occorrenza rude in seno alla coalizione.
Bossi ha eroso frange elettorali del centrosinistra, ha prosciugato i Verdi, ha portato molti ex comunisti dal mito gramsciano della fabbrica al federalismo territoriale di Cattaneo, ha al suo occhiello la competenza tecnica dell'ex ministro del Lavoro Maroni cui si deve la legge Biagi. Ciò che ai leghisti, che ormai stanno acquistando dimensione nazionale, manca ancora è una più solida preparazione in politica estera dove, spesso, prendono lucciole per lanterne: hanno sempre appoggiato la Serbia senza rendersi conto che, nel quadro kosovaro, era Belgrado «la ladrona» e Pristina la derubata. A parte questo dettaglio balcanico, la cui importanza crescerà fra gli impegni del terzo gabinetto Berlusconi, Bossi e la Lega rimangono i protagonisti d'eccezione del 13 aprile. Il grande sconfitto è specularmente Fausto Bertinotti, che ha visto tanti arcobalenisti trasformarsi in leghisti. Se l'uomo pubblico Bertinotti avesse fatto quello che in privato sulle vicende comuniste dice l'uomo colto Bertinotti, forse, chissà, avrebbe potuto contenere l'emorragia dell'Arcobaleno. Sul piano personale a molti, umanamente, dispiace la totalità della sua sconfitta, anche perché il leader della sinistra massimalista ha saputo sostenere cose insostenibili con lo stile e la buona educazione di un perfetto gentiluomo.
Devo, però, confessare che questo mio entusiasmo è un po' (molto) interessato nel senso che mi sono visto confermare da un grande giornalista, scrittore e osservatore delle umane faccende nazionali ed internazionali, uno dei caposaldi della mia analisi politica: l' affollamento, nel PDL, come nella Lega, di ex-democristiani, ex-marxisti di tutte le tonalità (dal rosso acceso al rosato) e da ex-fascisti.
Donde la necessità, per noi blogghisti liberali di centrodestra, di vigilare attentamente sull' operato del prossimo governo.
La Stampa
19/04/2008
Un venticello vien da Pontida
Enzo Bettiza
Soltanto in questi giorni d'inizio della grande svolta si riesce a capire che la «Seconda Repubblica» non è morta per il semplice fatto che non era mai esistita. È morta invece definitivamente la Prima di cui la «Seconda» non era che un'ombra storta e contorta: una protesi sgangherata tenuta artificiosamente insieme dal 1994, per quindici anni, fra tintinnii di manette e ribaltoni, con i cascami e i trasformismi dei due principali partiti di massa nati nel dopoguerra.
La democrazia cristiana ha continuato a sopravvivere disintegrata in spezzoni erratici; lo zoccolo duro del partito comunista, metamorfosato, ha seguitato a riorganizzarsi sotto nuove spoglie occidentalizzanti e botaniche; le schegge comuniste più nostalgiche, ossessionate dal naufragio sovietico, non hanno saputo fare altro che contestare l'esistente, aggrappandosi ai vecchi miti classisti e aggirandosi a tentoni in un anacronistico bric-à-brac di falci e martelli arrugginiti.
Certamente Silvio Berlusconi, nelle sue prime versioni di uomo di governo e d'opposizione, era già il personaggio nuovo e di rottura che abbiamo conosciuto. Demagogicamente apolitico, comunicatore di stile irrituale e popolare, in sintonia epidermica con una massa di elettori delusi, irritati dal latinorum indecrittabile dei politici di mestiere, egli si presentava sulla scena come l'uomo di successo che avrebbe saputo dare all'Italia smarrita e impoverita il lustro di una Mediaset grandiosa. Ma la Forza Italia del tempo era assai meno nuova del suo leader scalpitante. Più che un partito, era un accogliente asilo per scampati dei vecchi partiti, una balena fra bianca e rosa, nel cui ventre accogliente, privo di paratie, si stipavano confusamente democristiani, socialisti, transfughi comunisti, liberali, repubblicani, laici e cattolici generici. Il vero partito era lui, Berlusconi, con la sua immagine ridente e ubiqua, l'ottimismo costruttivo, la promessa di rigenerazione universale. La novità, insomma, era l'uomo.
L'autentica novità partitica, emergente già negli anni di prolunga della Prima Repubblica, era invece la Lega Nord di Bossi. Anzi, direi, il fatto nuovo era la Lega in sé, più che il pittoresco personaggio Bossi che l'aveva ideata e promossa con un fiuto più sottile delle sue metafore celtiche e un impeto di tribuno più robusto della sua salute. Non aveva torto D'Alema quando, invitato negli Anni 90 a un consesso leghista, epoca in cui Bossi veniva censurato o irriso da tanti commentatori, precorse i tempi certificando la Lega come «una costola della sinistra». Non solo da quella parte provenivano Bossi e diversi compagni di Bossi. Non solo si è recentemente scritto che la Lega è il vero erede del capillare talento organizzativo del Pci. Ma, oggi, constatiamo che la patente di sinistra concessa al leghismo padano da D'Alema una decina d'anni orsono, conteneva un elemento forse non involontario di profezia: è infatti a sinistra, fra i metallurgici della Fiom, gli operai della Fiat, i camalli di Genova, addirittura fra molti elettori della rossa Emilia Romagna, che la Lega ha raccolto e ottenuto uno straordinario successo durante le elezioni.
Successo sorprendente e inatteso dalla maggioranza degli osservatori? Sì, ma non da quelli che vengono dalla dirigenza del sindacato, che sentono il polso delle piazze, che fiutano da sindaci gli umori municipali e provinciali. Mi riferisco all'intelligente reazione di Sergio Cofferati, che ha smentito chi «pensa che quelli alla Lega siano voti di protesta» e ha ipotizzato perfino la necessità di costruire, da sinistra, un quasi autonomo «partito democratico del Nord» modellandolo come la Lega su strutture comunitarie e regionali. «Noi siamo parte del Settentrione, non del Centro», ha detto il sindaco di Bologna suscitando, nella stessa sinistra riformista emiliana, malumori ma anche molte approvazioni.
Lo si chiami come si voglia, regionale, municipale, territoriale, interclassista, comunitario, il successo della Lega sta comunque diffondendo un contagio psicologico e un interesse politico che vanno al di là del voto operaio. Più del secessionismo, che resta sempre metaforico nello sfondo, sono altri i temi scottanti agitati dalla Lega che attirano pure l'attenzione dei ceti medi che hanno votato Veltroni o stavano per votarlo. Imprenditori piccoli e medi, regionalisti meridionali a partire dalla Sicilia, perfino i dipietristi all'interno del Pd, che dopo la sconfitta della coalizione vorrebbero costituire gruppi parlamentari separati, hanno cominciato a tendere l'orecchio alle proposte leghiste. La sicurezza, la difesa della società impaurita, le politiche dell'immigrazione, il municipalismo forte, il federalismo fiscale stanno reclutando proseliti e imitatori anche fra quelli che mai avrebbero vagheggiato la folgorazione sulla via di Pontida. Lo stesso Berlusconi, che dal consistente voto della Lega ha ricevuto, insieme, una legittimazione e un monito alla sua leadership, ha già capito benissimo che il gioco politico sarà molto più stretto e più difficile con Bossi che con Fini: la porta sbattuta dal capo leghista al primo vertice collegiale dei vincitori, accompagnata dalla frase «io parlo solo con il Cavaliere», contiene il preannuncio, se non di un programma, di un comportamento indipendente e all'occorrenza rude in seno alla coalizione.
Bossi ha eroso frange elettorali del centrosinistra, ha prosciugato i Verdi, ha portato molti ex comunisti dal mito gramsciano della fabbrica al federalismo territoriale di Cattaneo, ha al suo occhiello la competenza tecnica dell'ex ministro del Lavoro Maroni cui si deve la legge Biagi. Ciò che ai leghisti, che ormai stanno acquistando dimensione nazionale, manca ancora è una più solida preparazione in politica estera dove, spesso, prendono lucciole per lanterne: hanno sempre appoggiato la Serbia senza rendersi conto che, nel quadro kosovaro, era Belgrado «la ladrona» e Pristina la derubata. A parte questo dettaglio balcanico, la cui importanza crescerà fra gli impegni del terzo gabinetto Berlusconi, Bossi e la Lega rimangono i protagonisti d'eccezione del 13 aprile. Il grande sconfitto è specularmente Fausto Bertinotti, che ha visto tanti arcobalenisti trasformarsi in leghisti. Se l'uomo pubblico Bertinotti avesse fatto quello che in privato sulle vicende comuniste dice l'uomo colto Bertinotti, forse, chissà, avrebbe potuto contenere l'emorragia dell'Arcobaleno. Sul piano personale a molti, umanamente, dispiace la totalità della sua sconfitta, anche perché il leader della sinistra massimalista ha saputo sostenere cose insostenibili con lo stile e la buona educazione di un perfetto gentiluomo.
14 commenti:
Ho sempre considerato la Stampa un ottimo giornale.
Ti segnalo anche questa analisi "interna" al PD, se avrai voglia di leggerla:
http://www.imille.org/2008/04/per_un_liberismo_solidale.html
(iMille, sul cui blog compare l'articolo, sono una corrente interna al partito con delle persone nella costituente e che forse, dipende dalle scelte sulle liste, avranno qualche rappresentante in parlamento...anzi avremo, dato che di questa corrente faccio parte anch'io)
Troppa sopravalutazione della Lega, troppi articoli sui giornali, sopratutto quelli che sono contro il centrodestra, mi sa che stanno tentando di metterci i bastoni fra le ruote. La Lega non è tutto, il centrodestra ha vinto conquistando l'abruzzo, la campania, la puglia e la basilicata. Forse è il caso di darsi una calmata!
Se sei a favore di un liberismo solidale, Mac, il PDL è il tuo partito ... E' già lì bello e pronto senza che tu abbia da farti il mazzo per inventartene uno nuovo ...
Che tu consideri la Stampa un ottimo giornale mi pare ovvio, visto che, essendo di proprietà del Padrone dei Padroni, appoggia da sempre il centrosinistra ...
Maestro dai un'occhiata qui
http://grandebugia.splinder.com/post/16834985/La+Shadow+Co.+prende+il+volo
E po fatti due risate qui:
http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/economia/alitalia-20/giannini-colpevoli/giannini-colpevoli.html
Se liberismo solidale vuol dire farsi ognuno gli interessi propri allora ti do ragione. Ti avevo spiegato meglio la mia posizione in dei commenti ai post precedenti, che non so perché non hai pubblicato.
Spero sia un problema esclusivamente tecnico, perché arrivare anche alla censura non sarebbe da te...
Ad Anonimo: se tu invece che il bottone "anonimo" scegli "Nome/url", puoi usare come "NOME" un nick e mettere in "URL" un indirizzo di posta elettronica qualsiasi, anche fasullo.
Ti sarei grato se lo facessi, la prossima volta, tanto per poterti "chiamare" in modo più appropriato dell' orrido "anonimo" che ha una accezione davvero sgradevole.
Quanto al merito del tuo commento, concordo perfettamente. Stanno tentando di mettere zizzania fra PdL e Lega. Ma sai che ti dico? Lo farebbero comunque, anche se fosse evidente a tutti che Bossi e Berlusconi filano in perfetto accordo.
Quindi, non lasciamoci condizionare da questo mentitori professionali e sentiamoci liberi di dire la nostra su tutto e su tutti, senza paura di favorire, così, l' avversario ...
Grazie delle segnalazioni, Andrea.
Ne ho tratto spunto per il mio ultimo post!
Per quanto riguarda i link che lasci, se vuoi posso dirti come renderli cliccabili.
Se invece lo sai ma non ti va di farlo, come non detto!
Saluto cordiale!
SSa SSa prova:))
Grande Andrea. Credi che non immaginassi che la tua era solo pigrizia?!!!
'Sti romani che nun c' hanno mai voglia de lavorà!
Sai Andrea che io ho passato la mia vita qui fra i barbari a spiegare loro che i romani lavorano come tutti gli altri ma che si vergognano di dirlo e si fanno un vanto di non farlo, anche e soprattutto quando lo fanno?
Carissimo, non possiamo negare che il vizio di indolenza sia parte del dna romano. Ti assicuro che è uno dei miei principali motivi di arrabbiature quotidiane...
non ho difficoltà alcuna a crederti, Andrea!
Alla prossima, ciao!
Andrea, un piacere, se puoi.
Bog.com permette di pubblicare, nella sidebar, l' elenco dei commenti più recenti. Nella Guida fornisce un breve codice da inserire nello script generale e dice come fare.
Problema: leggo e rileggo le istruzioni, cerco di applicarle, e non ci riesco, nel senso che non capisco quale sia il PUNTO esatto in cui inserire quel codice.
In breve, o sono un coglione io oppure ... sono un coglione io!
Gli daresti un' occhiata per me, quando hai tempo?
Grazie, ciao!
Hai provato a leggere QUI?
Andrea, sei una drago (prezioso)!
Grazie mille!
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