mercoledì 23 luglio 2008

Quando la Magistratura impoverisce la Nazione

Con questa quarta puntata, inizio la pubblicazione del secondo capitolo del libro di Giacalone sulla Malagiustizia.

Il titolo del capitolo è: "Le dimensioni dello sfascio". Giacalone riporta un gran numero di tabelle che illustrano i numeri di questa vergogna nazionale. Potrei pubblicarle anche io, ma occuperebbero troppo spazio e appesentirebbero la vostra lettura.

Ho scelto la strada di abbreviarne il contenuto riassumendole in poche frasi che troverete fra parentesi e in colore diverso da quello del testo.

Chi non si accontenterà potrà, ovviamente, scaricarsi l' intero libro da qui e consultare le tabelle.

In questa prima parte del secondo capitolo scoprirete perchè a questa Malagiustizia è imputabile anche l' impoverimento del nostro Paese: lo sfascio della giustizia civile, infatti, oltre a danneggiare direttamente la nostra economia, lo fa anche indirettamente, tenendo lontani gli investitori stranieri.


A forza di parlare di sfascio della giustizia italiana c’è il rischio che anche questa diventi una frase fatta, un concetto vuoto, quindi privo di forza.

Per evitarlo, per far vedere quanto è grande il disastro, mettiamo in fila qualche numero. I numeri, certo, non misurano il dolore e neanche son capaci di restituire le dimensioni del danno economico collettivo, ma sono assai efficaci nel far vedere che il nostro sistema giudiziario costa quanto e più degli altri, ma fa impareggiabilmente schifo.

Anticipo una delle conclusioni, per introdurre la prima tabella di dati: parleremo spesso della Cedu, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la relativa Corte di Strasburgo, lo faremo perché questa è una delle chiavi per risolvere il problema.

Il cittadino vittima non deve più solo difendersi, deve trovare la forza di attaccare e tale forza deve trovarla, naturalmente, nelle leggi.

La Cedu gli da la possibilità di denunciare il proprio Stato. È un dovere civile farlo.

Torneremo sul punto e descriverò meglio la Cedu, per ora guardiamo questa tabella, relativa alle condanne emesse nei confronti degli Stati membri, fino al 19 ottobre 2006. Il primo numero si riferisce alle denunce, il secondo alle condanne.

Per noi italiani è impressionante.

(L' Italia è stata denunciata 1.250 volte e condannata 1.012 volte. Le seconde classificate sono Spagna e Francia, che hanno totalizzato, entrambe, 305 denunce e 255 condanne (4 volte meno dell' Italia). Il Regno Unito ha avuto 26 denunce e 22 condanne)


Questi numeri sono incontestabili, tratti da una fonte non solo al di sopra delle parti, ma da ciascun Paese riconosciuta come seria.

Si può obiettare che vadano letti con una certa cautela: nei Paesi di più giovane libertà è naturale che la propensione del cittadino a denunciare il proprio Stato sia inferiore, ed in quelli in cui le garanzie di libertà individuale non sono poi troppo solide è comprensibile che ci si muova con maggiore prudenza.

Ma se anche limitassimo il paragone ai Paesi a noi più direttamente assimilabili, il risultato sarebbe comunque imbarazzante e vergognoso.

Prima di leggere i tempi della giustizia italiana soffermiamoci su un dato che, forse, già da solo dice molte cose: nel 2006, rispetto al 2005, i reati denunciati sono diminuiti dell’11,51%, passando da 2.855.872 a 2.526.486.

Voi pensate che siano diminuiti i reati commessi?

Non credo proprio, mentre ho l’impressione che siano diminuite le denunce, considerate del tutto inutili, anche perché questo dato va corretto con un aumento del 62% dei reati contro la legge sull’immigrazione.

Se proprio non ti portano via i documenti o le carte di credito, che lo denunci a fare il furto di un portafogli?

E anche per i furti in casa, state attenti: quando subii il furto di alcuni orologi feci regolare denuncia, con il risultato che la notizia finì su un giornale, e chi se ne frega se io ero la vittima e non mi andava di far sapere a tutti i fatti miei, mentre i Poliziotti m’invitarono a far visita ad alcuni ricettatori, per vedere se gli oggetti rubati fossero da quelle parti.

Ma come? Io non conosco ricettatori.

Furono loro a darmi l’indirizzo di due negozi nel centro di Roma. Non ci andai, perché penso che la Polizia dovrebbe arrestare i ricettatori, non mandarci i clienti, e temevo anche di trovarci roba mia, nel qual caso sarebbe stato difficile buttarla sullo spiritoso.

Del resto, di quei reati denunciati ce ne sono ben 1.992.943 che sono e restano a carico d’ignoti.

E veniamo alla durata media di un processo, misurato in giorni. Si tratta dei dati ufficiali, resi noti dalla giustizia all’inizio del 2007.

(Dalla tabella relativa ai processi CIVILI si ricava che quelli svolti presso un giudice di pace durano mediamente 1 anno, quelli di primo grado presso il giudice ordinario 2 anni e mezzo, per il secondo grado occorrono altri 3 anni e per l' ultimo grado, sentenza definitiva della cassazione, altri 3 anni. Totale: dalla denuncia alla sentenza finale passano mediamente8 anni e qualche mese)

Dunque, per un processo civile ci vogliono, mediamente 3.009 giorni, 8 anni e tre mesi. Questo nella media, perché se si disaggrega il dato e lo si riferisce al solo primo grado, guardate cosa succede:

(Nel Tribunale di Torino la media di durata di un processo civile di primo grado è di quasi 600 giorni, negli altri tribunali il numero dei giorni necessari cresce fino ad arrivare ai 1400 di Messina)

A Messina servono, mediamente, 1400 giorni per un primo grado, quasi 4 anni.

(Segue la tabella della durata dei processi penali, nei vari gradi di giudizio, per un totale di oltre 4 anni)

Questi sono i dati, già drammatici, della durata del processo, ma non tengono conto che prima ci sono stati anni d’indagine, mesi e talora anni per concludere l’udienza preliminare e rinviare a giudizio.

Non c’è da stupirsi, quindi, se un buon numero di quei procedimenti sono di fatto suicidi, nel senso che continuano nonostante alla loro fine i reati saranno prescritti, quindi inutili il lavoro e le spese affrontate, sia a carico della collettività che, in questo caso, dei singoli.

E guardate questi due raffronti europei, tratti dalla banca dati della Commissione europea per l’efficacia della giustizia (Cepej).

Il primo si riferisce alla durata media di un procedimento relativo ad un licenziamento:

(In Italia, prima classificata, oltre 600 giorni per la prima istanza e 800 per la seconda, in Francia, seconda classificata, 340 e 540 giorni ...)

E proprio lo scorso 31 maggio, in occasione delle tradizionali Considerazioni finali all’assemblea della Banca d’Italia, il governatore Mario Draghi ha detto: “Le manchevolezze della nostra giustizia civile sono segnalate da studi internazionali, testimoniate dal disagio dei cittadini e delle imprese. Nella durata dei processi il confronto internazionale è impietoso. Un esempio fra tutti: i procedimenti di lavoro nel primo grado di giudizio durano da noi in media oltre due anni, uno in Francia, meno di sei mesi in Germania (i dati sono anche peggiori n.d.r.). I tempi lunghi della giustizia non dipendono tanto da una carenza relativa di risorse, quanto da difetti nell’organizzazione e nel sistema degli incentivi”.

Le lungaggini non risparmiano neanche i divorzi, moltissimi dei quali si risolvono in via consensuale.

(In Italia, prima classificata, 600 giorni per la prima istanza e 500 per la seconda, in Francia, seconda classificata, 420 e 440 giorni ...)


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