martedì 29 luglio 2008

Il mostruoso connubio fra Magistratura e Stampa

Il terzo capitolo del libro di Giacalone si intitola "L' inferno dei presunti innocenti".

Sto leggendo questo libro insieme a voi, mentre trasformo il documento originale, che è in PDF, in un file di testo da poter copia-incollare nei post che vado pubblicando, puntata dopo puntata.

Ebbene, la puntata di oggi mi porta a presagire che questo capitolo mi farà accapponare la pelle.

Scoprire che un sanguinario boss mafioso come Tommaso Buscetta, ricordando il metodo di lavoro di Giovanni Falcone e confrontandolo con i metodi dei suoi successori, si permette di capire e stigmatizzare quel che non capiscono e non stigmatizzano i forcaioli seduti in Parlamento o nelle redazioni giornalistiche, mi riempe di angoscia .....

Ma in che cazzo di paese vivo, viviamo, se un boss mafioso è più intelligente e "colto" di un Travaglio e di una parte minoritaria ma consistente dei miei onesti concittadini?




Taluno, forse, potrà ritenere ovvio il diritto ad essere considerati innocenti, almeno fino a quando una sentenza definitiva non abbia stabilito il contrario.

Si sbaglia.

Si sbaglia ed, evidentemente, ha scelto di coprirsi gli occhi e non osservare quel che gli succede attorno.

Il diritto ad essere considerati innocenti viene quotidianamente ed incivilmente calpestato.

L’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti del-l’Uomo, al suo secondo comma, recita: “Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accerta”.

La Costituzione Italiana, all’articolo 27, afferma: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.

Il concetto è simile, addirittura identico nelle finalità, ma preferisco il diritto all’innocenza piuttosto che quello alla non colpevolezza.

A parte le preferenze, però, noi sappiamo che il diritto riconosciuto dalla Costituzione Italiana non è affatto tutelato dai tribunali italiani.

Voltaire, nel suo “Trattato sulla tolleranza”, ricorda che “il governatore romano Festo, che doveva giudicare Paolo, già condannato dagli ebrei, disse: ‘Non è costume dei Romani condannare un uomo prima che gli sia data la libertà di difendersi’”.

A distanza di tanti anni, purtroppo, il costume si è diffuso. Vediamo come questo fondamentale diritto viene negato, e vediamo come la Corte Europea ha già, per questo, emesso delle condanne.

Quando un cittadino viene indagato, magari con l’applicazione di misure cautelari, e, quindi, trattenuto in carcere, quando, poi, viene processato, non deve vedersela solo con la giustizia dei Tribunali, no, egli diventa anche carne da macello offerta in dono ad un sanguinario sistema dell’informazione.

Non si capirà mai nulla di come concretamente funziona la giustizia (e di quanto pesanti possano essere le ingiustizie) se non si tiene presente questa, assai poco ammirevole, evoluzione tecnologica della diffamazione legalizzata.

Esiste, lo abbiamo visto, una garanzia costituzionale che prevede, per ogni cittadino, la presunzione d’innocenza fino a quando, in via definitiva, la giustizia non abbia stabilito il contrario.

Di questa garanzia, fattualmente, non si tiene molto conto nell’amministrare la giustizia, ma, almeno formalmente, non la si può certo negare o considerare decaduta.

Sul fronte giornalistico, invece, l’unica presunzione che esiste è la presunzione di colpevolezza.

Della serie: sbatti il mostro in prima pagina.

L’innocenza non fa spettacolo, se non riconosciuta a chi era già stato ritenuto colpevole.

Ma quando ancora un cittadino ha il diritto di essere considerato innocente l’unico spettacolo che viene imbandito è quello della sua colpevolezza.

Questo meccanismo è autenticamente cannibalesco, cieco nel suo desiderio di sangue. Cercherò di chiarire perché.

Tanto per cominciare esso non è deprecabile solo quando massacra persone che saranno poi riconosciute innocenti, non ha nessuna importanza se la persona indagata, o imputata, sia o no veramente colpevole.

Mettiamo che lo sia, in questo caso esiste una proporzione fra il reato che ha commesso e la pena che dovrà scontare. Tale proporzione va a farsi benedire se la questione viene data in pasto alla stampa.

Faccio un esempio, che è solo apparentemente paradossale.

Se mi beccano a correre in autostrada, e mi fotografano con le apposite macchinette, mi mandano a casa una salata e meritata multa. E ben mi sta.

Ma se quella foto, già che ci si trovano, la passano anche alla stampa, ed esce una bella serie di articoli in cui si dice: “ecco il pazzo che potrebbe uccidere i vostri bambini”, allora mi sento vittima di un’ingiustizia.

Primo, perché non ho mai ucciso nessuno; secondo, perché non sono pazzo; terzo, perché non sono il solo a correre in autostrada.

E se qualcuno replica alle mie proteste dicendomi: “ma lei che vuole? lei è sicuramente colpevole, stava veramente correndo in autostrada”, allora reagisco dandogli del pazzo, perché confonde i dati logici del problema: l’essere vero un elemento non rende vera la storia inventata e raccontata dai media.

E non sono mancate simili esagerazioni, come descrizioni dettagliate di cose inesistenti, del tipo: arrestato Tizio che aveva un sontuoso attico pluribalconato, con piscina e giardino pensile, e voleva farlo passare, l’indegno, per una cantina.

Quel signore, magari, abita all’ultimo piano senza ascensore, dispone di un terrazzino dove stende i panni, non ha piscina, ma solo una vasca da bagno, possiede tre piante di gerani che espone alla finestra, utili anche contro le zanzare, e non ha mai tentato di far passare tutto ciò per una cantina, ha solo fatto presente che alla casa è annessa una cantina.

A quel punto c’è solo da sperare che il Tizio in questione abbia un po’ di senso dell’umorismo, e sappia prenderla con un sorriso. Altrimenti si mette ad imitare il Michael Douglas di “Un giorno di ordinaria follia”.

Insomma, non poche sono le vittime di un’informazione che mente alludendo, che lascia intendere, che smozzica a piacimento la realtà.

“I media industriali - ha scritto Paul Virilio - si avvalgono di una strana depravazione delle leggi democratiche. Infatti se la televisione e, per osmosi, la stampa non dispongono a priori della libertà di diffondere notizie false, la nostra legislazione concede loro il potere esorbitante di mentire per omissione, censurando e sottoponendo a interdetto le notizie scomode o che potrebbero nuocere ai loro interessi”.

Il secondo motivo per cui il meccanismo del “mostro in prima pagina” è un meccanismo sanguinario, sta nel fatto che esso annulla tutta una vita in un’unica, e ancora non dimostrata vicenda.

Questa è, credo, l’ingiustizia più pesante, più incivile che si subisce.

Ed è questo meccanismo, non la vergogna (come qualcuno ha sostenuto con infinito cinismo), che provoca l’annullamento della persona, e fa scattare il desiderio dell’autoeliminazione, del suicidio.

Come si fa a sopravvivere se si è dedicata la propria vita a delle cose, magari a degli ideali, a delle battaglie, e poi ci si ritrova sulla bocca di tutti come dei delinquenti?

Come si fa ad accettare che tutti i propri meriti nei confronti della collettività non contino più assolutamente nulla, mentre i propri errori divengono tutto?

Sull’interazione fra la scena giudiziaria ed il sistema della comunicazione ha scritto Daniel Soulez Larivière, evidenziando come sia difficile, nella situazione da circo mediatico-giudiziario che si è creata, difendere i diritti di quanti, per una ragione o per un’altra, sono impopolari.

Talora è proprio la magistratura giudicante a dovere fare da scudo contro il pericolo di giudizi prematuri e del tutto extragiudiziali.

Ma il problema resta quello della magistratura inquirente, sono, infatti, i pubblici ministeri ad avere scoperto di maneggiare un’arma devastante: l’uso dei mezzi d’informazione.

L’uso che se ne è fatto è smodato, tanto da sembrare ingenuo: certe armi, infatti, si rivoltano sovente contro chi crede di averle in mano.

È evidente che quando l’avvocato francese ha dovuto fare un esempio di come e dove tutti questi pericoli hanno toccato il loro punto più alto, e di dove la difesa dei diritti individuali ha toccato il suo punto più basso, ha subito pensato ad un paese: l’Italia.

Qualche lettore potrà ritenere che le critiche all’uso giudiziario dei mezzi d’informazione, vengono sempre dal fronte degli incalliti garantisti, o da coloro che si affannano a farsi passare per vittime, e che, invece, il magistrato, che spiffera tutto ai giornalisti suoi amici, è da elogiare per il dimostrato desiderio di pubblicità e trasparenza.

A costoro propongo di leggere cosa ne pensa un signore che ha esperienza diretta della giustizia: Tommaso Buscetta. Egli parla di quanto avvenne in Italia, nel 1992:

“Fui molto deluso dalla baraonda che circondava le indagini e i processi. Rispetto a otto anni prima, il peso della stampa era enormemente cresciuto. I giudici erano preoccupati dai titoli dei giornali.

Giovanni Falcone mi aveva interrogato per tre mesi. Da solo, scrivendo a mano i verbali. La polizia aveva effettuato 2600 riscontri alle mie dichiarazioni senza essere disturbata da nessuno. (...) I verbali delle deposizioni dei ‘pentiti’ finivano adesso sui giornali ancora prima che le indagini fossero iniziate. Ancora prima di eseguire un accertamento, una verifica, un arresto.

Il nome del giudice Signorino come persona collegata a Cosa Nostra era stato dato in pasto all’opinione pubblica mentre mi trovavo in Italia. Il giudice si era suicidato. (...)

Lessi sulla stampa che anch’io avrei fatto il nome di Signorino come magistrato colluso. Mi indignai. Era una falsità”.

C’è di che riflettere.

Come vedete gli interessi della giustizia e quelli di qualche magistrato assetato di popolarità, vanno in direzioni diametralmente opposte.

Ciò che aggrava enormemente l’interazione fra giustizia ed informazione, o, meglio, fra giustizia e spettacolo, è l’orrendo conformismo dei giornalisti che animano questo circo. Il loro supino appiattimento sulla tesi ritenuta, per definizione e senza impegno di alcun spirito critico, giusta.




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