mercoledì 30 aprile 2008

Anche le formiche, nel loro piccolo ...

A vederlo in foto, Ricolfi sembra un omino mite, un intellettuale rasserenato dal suo sapere e dalla sua brillante intelligenza, eppure mi è parso di cogliere, nel suo ultimo articolo sulla Stampa, i segnali di una formidabile incazzatura.


D' altra parte, come non capirlo? Passano i giorni e il nostro eroe più approfondisce la sua analisi del voto, più si trova di fronte alla stupidità della sua parte che, non dimentichiamolo, è pur sempre la sinistra.

La verità è spietata per definizione, non per nulla ce ne teniamo tutti a debita distanza, se appena possiamo. La verità che va scoprendo Ricolfi, giorno dopo giorno, leggendo i commenti e le analisi dei suoi colleghi della sinistra, credo stia cominciando a ferirlo profondamente della serie: ma si può essere così coglioni?

Sì, caro Ricolfi, si può e come! E quando ti sarai convinto di aver raggiunto il fondo della stupidità dei tuoi compagni di sinistra, ti renderai conto che sono ancora più stupidi.

Quindi, se posso permettermi un consiglio che io non riesco mai a seguire, stacca la spina per un po'. Prenditi una vacanza, non leggere più i giornali e pensa ad altro.

Tornerai ritemprato e riuscirai persino a ridere dei tuoi compagni che, oggi, sembra proprio che ti stiano facendo perdere la serenità.

La Stampa
30 Aprile 2008
Il loft e il Paese

Luca Ricolfi
La cosa che più colpisce, in questi giorni, non è quel che si dice sulle cause della doppia disfatta Veltroni-Rutelli, ma lo stupore con cui se ne parla. Non si può dire che la sconfitta fosse perfettamente prevedibile, ma sembra che le sue dimensioni abbiano preso un po’ tutti alla sprovvista, come se politici, giornalisti, commentatori, studiosi non si fossero accorti di quel che passava per la testa della gente.

Tale stato d’animo degli osservatori rischia di portare fuori strada nella ricerca delle ragioni di questo improvviso ribaltamento degli orientamenti politici dei cittadini. Chi è stupito va a caccia di cause nascoste, sottili, difficilmente visibili a occhio nudo. C’è chi dice che Veltroni avrebbe copiato Berlusconi, inducendo gli elettori a snobbare la copia e preferire l’originale. C’è chi dice che Rutelli avrebbe strizzato l’occhio ai preti, e troppo disdegnato i temi laici: il consiglio è di fare come Zapatero. C’è chi invoca l’effetto band wagon: da sempre gli italiani hanno il vizio di saltare sul carro del vincitore. C’è chi, in modo vagamente tautologico, invoca un generico «vento di destra»: l’Italia va a destra perché così soffia il vento. C’è chi, infine, si rammarica che solo Berlusconi sappia «interpretare la pancia del Paese»: a quanto pare quando vince la destra è la pancia che parla, quando vince la sinistra è la testa che ragiona.

Ma forse, più semplicemente, abbiamo trascurato due fatti macroscopici, che non hanno attirato su di sé l’attenzione proprio per la loro ovvietà ed evidenza. Il primo fatto macroscopico è il discredito del governo Prodi, legato all’indulto, all’esplosione della criminalità, agli aggravi fiscali e burocratici, al drammatico aumento delle famiglie in difficoltà (+57% negli ultimi 12 mesi). A quanto pare i dirigenti del Pd non si sono resi conto di quel che la gente ha passato negli ultimi due anni. Naturalmente gli sbagli del governo non sono l’unica causa delle sofferenze e delle paure degli italiani, ma ignorarne la portata è stato una imperdonabile leggerezza politica. Giusto o sbagliato che fosse, dopo due anni di governo dell’Unione gli italiani sentivano il bisogno di voltar pagina: come si poteva pensare che si affidassero a chi instancabilmente ripeteva che quel governo aveva ben operato?

Il secondo fatto macroscopico è in realtà un non fatto, ovvero una clamorosa omissione. La sinistra italiana, a differenza della sinistra inglese a metà degli Anni 90, non ha ancora voluto compiere la sua rivoluzione antisnob, ossia quel percorso di rottura con il mondo dei salotti che - secondo Klaus Davi - fu una delle carte vincenti con cui Tony Blair riuscì a resuscitare il consunto Labour Party, riavvicinandolo alla gente comune e riportandolo al governo del Paese dopo il lungo regno della Thatcher (Di’ qualcosa di sinistra, Marsilio, 2004). Omissione curiosa, visto che - sul piano comunicativo - il primo problema della sinistra italiana è la sua immagine elitaria e anti-popolare, il suo presentarsi come una squadra di autocrati illuminati, di seriosi e impermeabili custodi del bene.

Di questa drammatica distanza dalla sensibilità popolare, di questo deficit di radici sociali, Veltroni è parso del tutto ignaro. Cercando di conciliare tutto e tutti, nascondendo sistematicamente le difficoltà in cui il governo uscente aveva cacciato il Paese, pensando di maneggiare con semplici esercizi verbali la protesta delle regioni più operose, Veltroni ha mostrato di non aver capito né quanto profondamente il governo Prodi avesse diviso l’Italia, né quanto i simboli del Palazzo e della politica romana siano invisi alla gente comune (era proprio il caso di chiamare Loft la nuova sede del Partito democratico? E di chiamare «caminetti» le riunioni dei dirigenti che contano?).

Con l’immagine salottiera e poco ruspante che la sinistra post-berlingueriana si ritrova addosso, con la sua mancanza di radicamento nel territorio, con la sua distanza culturale dalle regioni del Nord, presentarsi alle elezioni con un candidato premier che è la quintessenza del bel mondo di Roma, delle sue terrazze e dei suoi salotti, era già un azzardo notevole. Non rendersi conto dell’azzardo, e non prendere alcuna contromisura compensatrice, è stata un’incomprensibile follia.

Qualcuno, già me lo sento, dirà che la politica seria è un’altra cosa, e che è da qualunquisti rimproverare a Bertinotti le frequentazioni mondane, o ai dirigenti del Pd di riunirsi davanti a un caminetto, in un appartamento che amano chiamare il Loft. È vero, quel che conta è capire la realtà, e se ti riesce meglio davanti a un caminetto non c’è niente di male. Il punto, però, è che questi signori il contatto con la realtà sembrano averlo perso completamente. A forza di parlarsi tra loro non sanno più in che Paese vivono. Se la gente li vede come una casta, non è tanto per i loro privilegi, ma perché i loro simboli sono quelli di un mondo inarrivabile e separato, lontano mille miglia dal mondo di tutti noi.

Quando la politica si fa emozione

Durante il discorso di investitura di Fini, poco fa, mi sono commosso!

Finiano? Neanche un po'!

Piaciuto il discorso? Non del tutto (l' omaggio al Papa poteva risparmiarselo, tanto per dirne solo una).


Intenerito dalla cravattina rosa? Puah!


E allora?

E allora, credo che ad emozionarmi sia stata la rappresentazione plastica del fatto che il centrodestra aveva davvero vinto le elezioni!


Riflessi appannati, i miei? Probabile .....


Fatto sta che solo ora, guardando Fini insediato nel più alto scranno del Parlamento, ho avuto la "certezza" che il miracolo della sparizione di Prodi&C, dopo solo due anni, fosse avvenuto davvero.
Devo aver vissuto queste ultime settimane in uno stato stuporoso se solo ora mi sono reso conto "davvero" di quel che è accaduto. Vabbè, cosa posso aggiungere? Che sono felice? Sì, lo sono.

Lo sono perchè, salvo clamorose gaffes imperdonabili (e impensabili) della nuova maggioranza, forse si avvererà il mio sogno di lasciare in eredità ai miei figli un paese in cui i cattomarxisti siano ridotti ad un gruppetto folkloristico, non più pericoloso e fastidioso di una nube di zanzare sulle spiagge della riviera adriatica, dopo il calar del sole.


Due anni fa, la vittoria di Prodi era stato un vero trauma per me. Capisco solo ora quanto grave: evidentemente mi ero rassegnato, avevo perso ogni speranza nella sanità mentale di questo povero paese.
Forse è per questo che ho tardato tanto ad entrare in contatto con la realtà di questa vittoria ....

Sorrido. Sta a vedere che sarò costretto a dire grazie a Prodi!


Perchè, se è vero che, senza di lui, l' Unione non avrebbe mai vinto le elezioni, è anche vero che, senza di lui, gli italiani che lo avevano votato non avrebbero mai aperto gli occhi sulla iattura che il cattomarxismo è stato per l' Italia in tutti i passati decenni.


Speriamo che l' abbiano capito, finalmente, e una volta per tutte.

Sondaggino: Veltroni deve lasciare?

Credevo di essere l' unico a considerare l' opportunità che Veltroni lasci la segreteria del PD e invece il Corriere aveva già lanciato il suo sondaggino e ben il 48% dei lettori di quel giornale la pensa come me.

Vabbè, non è la maggioranza ... ancora, ma il nostro Walter non mancherà di certo di contribuire, con le sue future intelligenti esternazioni, a far salire la percentuale.

Se siete disposti a pagare il pizzo ...

Se siete disposti a pagare il pizzo del tributo alla retorica antifascista con cui apre il suo pezzo D' Avanzo, su Repubblica, leggerete un articolo interessante che spiega perchè le borgate tradizionalmente "rosse" di Roma hanno voltato le spalle a Rutelli.

Sullo stesso giornale troverete, in altra pagina, la commovente spiegazione che la Barbara Palombelli ha dato della sconfitta elettorale del suo illustre consorte: "I poteri forti sono stati decisivi: mio marito non li garantiva".

Insomma, i borgatari intervistati da D' Avanzo hanno fatto comunella coi palazzinari ....

Sapeste come mi piacerebbe, qualche volta, essere straniero e vivere in Italia. Nel leggere i giornali "locali", mi sganascerei invece di incazzarmi ...

Giornalisti e politici: chi sono i paguri?

Pubblico qui un mio contributo alla discussione che si è svolta, in questi giorni, sul blog di Camelot


Fra ha scritto: ma chi cazzo li legge 'sti giornali di sinistra?

Intervengo in questa discussione solo perchè la frase di Fra mi offre lo spunto per trattare un argomento cui volevo, da tempo, dedicare un post sul mio blog. La tiratura di Corriere, Repubblica e Stampa è notevole per gli standard italiani, ma quasi irrisoria per gli standard europei.

In questo senso, dunque, Fra ha ragione: ma chi cazzo li legge 'sti giornali?
Pochissime persone, è vero, ma li legge chi conta, politici e giornalisti, in primis, e la classe più acculturata e/o produttiva del paese, in secundis: insegnanti, imprenditori, professionisti, burocrati ... In altre parole, li legge la classe dirigente del Paese, quella che conta, quella che "fa" opinione pubblica.

Ma questa mia osservazione è abbastanza ovvia, al limite della banalità. Quel che invece mi pare più interessante è denunciare il meccanismo perverso che lega i politici ai giornalisti e viceversa.


La cosa, secondo me, funziona così: il giornalista deve, tutti i santi giorni, riempire di notizie un tot numero di pagine, per esempio, quelle dedicate alla politica, ma non ci sono (quasi mai) abbastanza notizie, NON POSSONO essercene! E allora il povero giornalista è costretto a "crearle" queste cazzo di notizie che non ci sono.

Come? Corre sotto casa del politico importante, aspetta che esca e gli chiede una dichiarazione, oppure, se è in confidenza, ed in genere lo è (e molto) , gli telefona, pietendo una dichiarazione.
Può un politico, che vive di dichiarazioni, e che deve le sue fortune elettorali al numero di volte in cui il suo nome compare sui giornali, negargliela? Evidentemente no! E infatti non gliela nega e spara la prima cazzata che gli passa per la mente. Può, un giornale autorevole, pubblicare una evidente cazzata? Ovviamente no e allora il giornalista la imbelletta un po' e poi, magari, la passa persino all' opinionista (anche lui afflitto dal problema di fornire un tot numero di parole al giorno o alla settimana) che ci costruisce su un "pezzo". Tutto qui? No! Il bello viene adesso:

il politico di cui sopra, quello che aveva sparato una cazzata per togliersi dai piedi quel rompiscatole di giornalista, il mattino dopo sfoglia la mazzetta dei giornali che contano (è il suo primo dovere della giornata) e corre a vedere cosa ha scritto il giornalista e, toh, scopre che la sua cazzata, riveduta, corretta e imbellettata, è diventata una notizia di tutto rispetto!
A quel punto si autoconvince di aver fatto una dichiarazione di importanza fondamentale, fin quasi storica e, STATE ATTENTI perchè è questo il punto, ci crede lui stesso!

Non solo! Ci credono, fermamente, anche i suoi colleghi di partito e i suoi avvversari che, manco a dirlo, leggono gli stessi giornali!!
Ma quegli stessi giornali li leggono anche i giornalisti delle testate concorrenti che, seccati di essersi lasciati scappare una ghiotta notizia, corrono a chiedere ulteriori commenti al politico di cui sopra e, ATTENZIONE, anche agli altri politici degli altri partiti e alè, si apre un caso che lievita lievita finchè quella che era una semplice cazzata, diventa argomento di un dibattito politico di alto livello.

A 'sto punto si inseriscono i TG che, anch' essi, vivono della lettura di quegli stessi giornali e il cerchio si chiude: la non-notizia arriva alla massa, a quel popolo che - come dice giustamente Fra - i giornali non li legge ....


Riassumendo: politici e giornalisti vivono in stretta simbiosi, l' uno sopravvive o vive bene o addirittura prospera, grazie all' altro. Il loro legame è talmente stretto che è difficile capire se sono i giornalisti a riferire quel che pensano i politici o sia il contrario e cioè che i politici finiscono per pensare e dire quello che pensano i giornalisti.


Morale: è più importante - in Italia - la voce di un Ezio Mauro o di un Veltroni? Di un Mieli o di un Berlusconi? Di un Anselmi o di un Fini?
La mia impressione è che siano più importanti i tre giornalisti, non fosse altro che per il fatto, innegabile, che sono proprio loro i megafoni, non solo e non tanto dei politici, quanto dei Poteri Forti che editano quei giornali.

martedì 29 aprile 2008

"Rutelli deve vincere, per Roma e per il paese".

Ho trovato questa intervista di Veltroni all' Unità di tre giorni fa solo perchè è stata citata con sdegno, quest' oggi, da Liberazione, a proposito della concezione che ha il nostro Capo dell' Opposizione della libertà di stampa.

Non mi ha interessato particolarmente questa polemica fra fratelli separati, non è per questo che la pubblico.

La mia motivazione è quella di ricercare, nelle esternazioni di Veltroni, qualcosa che mi faccia ben sperare per le sorti della prossima legislatura.

Cerco tutti i giorni, quanto e come posso, ma quello che trovo è puntualmente desolante ...

Questo non-compagno mi appare sempre più un vacuo parolaio e quando leggo o sento dire che la sua leadership nel PD, ora come ora, non ha alternative mi deprimo ancora di più.

L' Italia, come scrivevo stamattina, ha bisogno di un serio partito di opposizione.

A me pare , ogni giorno di più, che un tipo come Veltroni non sarà mai in grado di costruirlo.

Qualche giorno fa avevo lanciato l' idea che fosse D' Alema a prendere in mano le redini del partito. Io stesso l' avevo considerata una boutade, più che altro, ma ora, dopo avere letto questa intervista, comincio seriamente a pensare di aver visto giusto .....

Vabbè, leggete e giudicate voi se un uomo che ha la capacità di parlare senza esprimere una sola idea degna di questa definizione, come il Gastone di Walt Disney, possa davvero guidare un importante partito nazionale quale dovrebbe diventare il PD, nell' interesse di tutti.


l' Unità

26 Aprile 2008

Veltroni: «Sfregiano la democrazia. Ora dobbiamo rafforzare il Pd»

Lettura dei giornali di buon mattino, interviste, manifestazione, telefonate. Insomma lavoro tanto, riposo poco. Siccome gli esami non finiscono mai e domani ci sono ballottaggi importanti, il 25 aprile Walter Veltroni lo passa così. Con qualche differenza da Berlusconi, che ci tiene a rimarcare: «In una data come questa, che per gli italiani significa il ritorno della libertà, il futuro premier non solo snobba la ricorrenza, come ha sempre fatto, ma non trova di meglio che incontrare Ciarrapico, uno che il fascismo non l'ha mai rinnegato. Francamente lo considero uno sfregio, spero che anche per molti elettori e alleati di Berlusconi questo sia il momento di cominciare a dire qualche parola»

Magari si illude. Però Veltroni, nonostante tutto, è pieno di energie
e ha voglia di lanciare un messaggio, anche all'interno del
partito: «Non si torna indietro. Strategia, scelte programmatiche e
linguaggio sono giusti, però adesso dobbiamo farlo, il Pd. Bisogna
valorizzare i giovani, stare dove sta la gente e fare una gigantesca
battaglia culturale». Veltroni ironizza sulla «scoperta della Lega»,

sogna una televisione che rompa la cappa del pensiero unico che già
si sta diffondendo nel paese, e avverte la Destra: «Deve scegliere
che linguaggio usare. Se è quello di Fini, siamo sulla strada
sbagliata».

Segretario, che Pd vede dopo queste elezioni?
«Inizio con qualche dato. Il primo è che abbiamo un partito
riformista del 34%, che in Italia non c'è mai stato. Si è superato il
muro dei 12 milioni di voti, con un incremento che è stato al Senato
di 1 milione e 800mila voti, a fronte di un decremento del Pdl di
800mila».

La percentuale del Pdl è la somma di An e Fi del 2006, solo che hanno
votato meno persone...
«Ma noi aumentiamo e loro diminuiscono. Abbiamo avuto un voto molto
importante nelle principali città del nord, nelle grandi aree urbane,
al nord e al centro. A Roma abbiamo avuto il 41% dei voti. Il Pd è
diventato al nord il primo partito in moltissime città, e rimango
sorpreso quando sento fare i raffronti col 2006».

Perché?
«Per il Pd il raffronto va fatto nel 2007, ossia qualche mese dopo
l'inizio dell'esperienza di governo del centrosinistra. Purtroppo
questa esperienza è iniziata con 100 persone nell'esecutivo,
l'indulto, e una legge finanziaria pesante. È proseguita con una
crisi di governo a metà, con una instabilità permanente. Sono andato
a vedermi i dati delle provinciali del 2007, abbiamo incrementi che
vanno dal 10 al 15%. Nel 2007 i sondaggi quotavano il Pd al 24%, noi
abbiamo recuperato 10 punti percentuali e, cosa importante, l'abbiamo
fatto in un clima politico molto negativo, segnato da una crisi di
rapporto tra vecchio centrosinistra e società italiana e segnato da
qualcosa che bisogna indagare a fondo e che riguarda non solo
l'Italia ma tutta l'Europa. Ieri (giovedì, ndr) c'era qui Tony Blair
e ci siamo ricordati di quando iniziammo l'esperienza del nuovo
Labour e dell'Ulivo. In Europa i socialisti erano in quasi tutti i
governi, adesso sono rimasti sette, dei quali due in grandi
coalizioni, Germania e Austria. Nel nord Europa non ci sono più
esecutivi socialdemocratici, in Olanda ci sono forze di destra che
emergono, in Francia non si è più vinto dopo Mitterrand, l'unica
eccezione è la Spagna, grazie a Zapatero. C'è in Europa una crisi
sociale molto grave che in Italia si combina agli effetti devastanti
prodotti da quella che chiamerei la mutazione dello spirito pubblico
di questo paese, che dura da vent'anni. Pensiamo al problema della
sicurezza, quella personale ma anche sociale. Quella attuale per
vasti strati è una condizione segnata dall'insicurezza, compresa
quella di chi vede trasformare il proprio contesto sociale urbano
dall'arrivo dell'immigrato, dell'altro, che viene vissuto come
pericolo. Su questo ha trovato forza la campagna della Lega. Tutta
l'Europa vive lo stesso fenomeno, per l'Italia c'è una difficoltà in
più, che non possiamo ignorare: dal '45 il centrosinistra non ha mai
vinto le elezioni».

Nel senso che non è mai stato maggioranza nel paese...
«Nella storia italiana non c'è mai stata una prevalenza numerica di
un centrosinistra riformista, questo è il problema che noi abbiamo
cominciato ad affrontare, dando all'Italia per la prima volta quel
che non ha mai avuto, ossia un grande partito riformista. In realtà,
nonostante la sconfitta nella sfida per il governo, da queste
elezioni esce confermata l'ispirazione strategica del Pd».

Invece sembra che qualcuno inizi a metterla in discussione...
«Vediamo. Primo, l'andare da soli ha pagato. Se avessi dovuto
ascoltare tutti gli iperprudenti che mi consigliavano di
ripresentarmi con la vecchia coalizione, adesso noi saremmo un
mucchietto di cenere. Basta vedere il dato della sinistra arcobaleno
per capire quale rottura di relazione c'è tra il vecchio
centrosinistra e il paese. E quando vedo qualcuno che trasforma le
bandiere del Partito democratico in bandiere rosse penso che va nella
direzione sbagliata. Non è quella la soluzione. L'ultima cosa da fare
è pensare che il futuro sia il ritorno al passato. Invece il futuro è
nel proseguire questa grande sfida. Il nostro non è un partito di
sinistra camuffato, ma una grande realtà del centrosinistra che va
valorizzata. La scelta di fondo è quella giusta. Secondo, anche le
scelte programmatiche sono giuste. In 4 mesi abbiamo rivoluzionato il
linguaggio del centrosinistra italiano, pensiamo ai temi delle
infrastrutture, del fisco, della semplificazione burocratica, della
sicurezza. L'ho chiamata la rivoluzione dolce, e per fortuna
l'abbiamo fatta, altrimenti avremmo pagato un prezzo altissimo.
Quando qualcuno dice che dobbiamo scegliere tra Colaninno e i
lavoratori, dice la cosa più sbagliata del mondo. Quella scelta di
vecchia identità non funzionerà mai. I Ds due anni fa al Senato
avevano il 16 per cento. Vogliamo tornare lì? No, le scelte sono
giuste, ma adesso dobbiamo fare il partito».

Ossia entrare in contatto con l'Italia profonda.
«Significa fare un partito moderno. I partiti moderni non sono né
leggeri né pesanti, questa discussione è cominciata fuori da noi, e
ci ha investito anche grazie a una certa fragilità culturale che ci
accompagna. I partiti sono dove sta la gente, nelle fabbriche, nelle
scuole, nei quartieri, su internet, nelle professioni. Serve,
semplicemente, un moderno partito di massa».

Non mi dica il modello Berlusconi, o della Lega...
«Per carità. Adesso una delle grandi scoperte di opinionisti,
televisioni e giornali, è il modello organizzativo della Lega. C'è da
sorridere. È lo stesso di due anni fa, non è cambiato, solo che i
voti gli sono arrivati per la rottura del rapporto tra centrosinistra
e paese. La Lega è un fenomeno complesso ma non si può cambiare il
giudizio a seconda di quanti voti prende».

Ma secondo lei che cos'è il Carroccio?
«È l'impasto di molte cose diverse. C'è la spinta a liberarsi di
lacci e lacciuoli che è il tratto positivo, e poi ci sono gli
elementi di cultura individualista, corporativa, particolarista che
sono pericolosi e devono essere contrastati. Ricordo che noi al nord
siamo andati bene perché abbiamo cominciato a parlare il linguaggio
di chi vuole lavorare e produrre, liberandosi da tutto quello che
impedisce di crescere. Io sono più preoccupato del voto del sud,
perché il vero problema noi l'abbiamo avuto lì, dove il Pdl ha
intercettato lo stesso tipo di pulsione che ha intercettato la Lega
ma senza pagare il prezzo della sua presenza. La realtà è che la
gente ragiona sulla base di un approccio poco politicista».

Però i giornali abbondano di rampogne e di suggerimenti nei suoi
confronti. Ad esempio "il Riformista"...
«Liberiamoci dai condizionamenti dei giornali che vengono letti
prevalentemente da quelli che fanno politica. Il Riformista, peraltro
di proprietà di un parlamentare eletto dal Pdl, vende 2000 copie e fa
la spiega a noi che abbiamo preso 12 milioni di voti. Mi verrebbe da
dire: per prima cosa pensa a vendere di più tu... ».

Torniamo al partito. Questo voto favorisce la crescita di una nuova
classe dirigente o tutto torna alle vecchie logiche dei partiti di
origine?
«Io voglio un partito che stia dentro la società e che vada avanti
nel rinnovamento. C'è una nuova generazione di dirigenti del Pd,
persone che hanno 40 anni e che devono assumere responsabilità di
primo livello. Penso al ruolo fondamentale che devono avere i
segretari regionali in una struttura federale. Ci sono energie
enormi, che non possono essere soffocate da un gruppo dirigente
indisponibile a questa operazione di allargamento e rinnovamento.
Radicamento nella società significa anche gruppi dirigenti
selezionati sulla base di una relazione con la vita reale dei
cittadini. Quindi meno gruppi di potere, meno presunzione, meno auto-
referenzialità e più capacità di esprimere la ricchezza della vita.
Un partito deve avere organismi dirigenti forti, autorevoli e
rappresentativi. Dobbiamo essere in grado di approfondire l'analisi
sulla società italiana, anche in relazione a quello che sta
succedendo in Europa. Ci tengo a questo raffronto con la dimensione
europea perché i problemi con cui facciamo i conti sono legati alle
profonde mutazioni sociali di un continente che sta invecchiando. Un
partito nuovo deve avere un sistema di studi, di fondazioni, come
Italiani Europei, la Nes, Astrid, serve una rete di centri di ricerca
che allarghi e arricchisca l'elaborazione del pensiero critico del
Pd. Ci vuole una grande battaglia culturale».

La cosa più difficile, in Italia.
«Sono stufo di un certo atteggiamento remissivo nei confronti di uno
spirito del tempo che sta giustiziando i valori e lo spirito pubblico
di questo paese. Ho chiesto a molti colleghi stranieri cosa sarebbe
successo se nel loro paese un candidato avesse eletto a eroe un
mafioso. Mi hanno risposto dicendo che sarebbe una cosa incompatibile
con qualsiasi carica pubblica. In Italia invece questo è possibile».

Anzi, fa aumentare i voti...
«In Italia si va affermando una autentica dilapidazione del valore
della solidarietà e del rispetto degli individui. Noi abbiamo bisogno
di una grande battaglia culturale in cui anche il mondo cattolico
deve fare la sua parte: la volgarizzazione della società, la spietata
individualizzazione, il genocidio di ogni idea di regola e di spirito
pubblico non è da considerare meno delle grandi questioni etiche,
perché ci possono essere grandi attenzioni al tema della vita, però
poi quelli che vivono si trovano una società senza valori,
disumanizzata, dove le regole sono scritte dai rapporti di forza
individuali e di categoria. Con rischi per la stessa convivenza».

Bisogna avere strumenti potenti.
«Bisognerà cercare di entrare anche nel settore televisivo con
strumenti nuovi, e nel mondo di internet. Faccio un esempio. Noi
faremo il governo ombra che sarà una grande struttura di proposta e
di critica, in rapporto coi gruppi parlamentari. La mia idea è che a
fianco di ogni ministro lavorino i capigruppo delle commissioni
parlamentari e questi parlamentari dovranno essere le forze migliori
del Pd. Ma siccome prevedo che nei prossimi mesi la televisione
pubblica e privata sarà sotto una cappa di uniformante pensiero
unico, servirà dell'altro. Faccio una previsione: spariranno dai
telegiornali tutte le notizie di cronaca nera, l'allarme sicurezza
sparirà, come accadde dal 2001 al 2006 quando l'allarme cessò pur
essendo aumentati i reati. Se ne è riparlato quando i reati sono
diminuiti, anzi si è fatta campagna elettorale su quel tema con tutte
le bocche da fuoco disponibili. Ecco perché credo che accanto al
governo ombra servirà una struttura di informazione televisiva ombra
che tutte le mattine possa raccontare tutto ciò che è stato
censurato, tagliato, negato. È così che si fa in una democrazia. Si
rispetta, si propone, però si controlla».

Chi saranno i capigruppo di Camera e Senato?
«La mia opinione è che nella scelta non ci può essere altro che la
volontà dei gruppi parlamentari. Quello che decideranno per me va
bene, lo dico sinceramente. Però non posso accettare che a una
persona come Anna Finocchiaro, che ha fatto una battaglia di grande
coraggio, non le si riconosca il merito e la riconoscenza per averla
fatta. Se lei e Antonello Soro intendono essere candidati io sono
perché i gruppi esprimano la loro opinione su questa possibilità di
conferma. Questa è una strada, poi nel 2009 dopo le europee si può
rivedere la scelta. Se invece c'è l'idea di andare a una soluzione
diversa, si verifichi quali sono le possibilità. I nomi di cui si
parla a me vanno tutti bene. L'importante è che a decidere siano i
gruppi parlamentari nella loro piena autonomia. Ci sarà da fare per
tutti in uno spirito unitario e di responsabilità collettiva. Ci sono
i capigruppo, le cariche parlamentari, il governo ombra e un gruppo
dirigente che si dedichi a radicare il partito nel nord e nel sud,
quindi spazio per l'impegno pieno di tutte le risorse di cui il
partito dispone».

Domani ci saranno i ballottaggi. Se a Roma Rutelli dovesse perdere
tante questioni si ingarbuglieranno...
«Rutelli deve vincere, per Roma e per il paese. Il dato del Pd nella
capitale è molto alto, ma è chiaro che votare 15 giorni dopo la
vittoria di Berlusconi non è facile. Dipende da quanta gente si
recherà alle urne».

I giornali della destra dicono che se perde la sua leadership
risulterà indebolita...
«Sarebbe stato vero se fossi stato candidato sindaco. Ma diciamo le
cose come stanno. C'era qualcuno che pensava di vincere le elezioni
prima che iniziasse la campagna elettorale? Il clima è cambiato negli
ultimi due mesi, grazie alla rimonta del Pd. Bisogna ripartire da
qui, senza strutture leaderistiche, con tante personalità di
generazioni diverse che lavorino insieme, quali che sia il risultato
di Roma. Se dovessimo perdere, per risalire l'onda serve più
determinazione, non meno».

A proposito di Roma. La campagna della Destra è stata particolarmente
dura, Fini non ha lesinato gli insulti. Vede possibilità di dialogo
con questa maggioranza?
«Il fatto che Fini abbia definito una salma Rutelli e che bisogna
fargli una pernacchia quando parla, e pensare che può sedere sullo
scranno su cui sono stati seduti Pertini, Iotti, Scalfaro, sono due
cose incompatibili».

E quindi?
«La Destra deve decidere: se vuole usare un linguaggio da scontro
frontale non può pensare di trovare un'opposizione che non reagisce.
Se invece vuole avere un atteggiamento di dialogo, ci troverà fermi
ma dialoganti».

Forse hanno capito che al paese piace il linguaggio dello scontro.
Berlusconi ha detto che l'ha rimandata in Africa e che rimanderà
Rutelli sul motorino.
«Non rispondo alle battute da bar. La realtà è che loro cavalcano un
linguaggio e un clima che c'è nel paese. Una ragione in più per
impostare anche una grande battaglia culturale, oltre che politica.
Il Pd deve servire a questo. Perché anche dall'opposizione riuscirà a
fare un grande servizio al paese contrastando le politiche del
governo e preparandosi alle prossime sfide per la guida del Paese».

Quando una vignetta vale un editoriale

«Alitalia potrebbe essere acquistata da Ferrovie»


Se l'Unione Europea «si mette a zignare, allora potremmo prendere una decisione, per cui Alitalia potrebbe essere acquistata dallo Stato, dalle Ferrovie dello Stato. Questa è una minaccia, non una decisione - Silvio Berlusconi parla con i cronisti in Transatlantico durante la seduta inaugurale della legislatura e non lesina le parole sul futuro della compagnia di bandiera dopo i dubbi espressi da Bruxelles sul prestito ponte concesso dal governo -. Noi andiamo avanti con la compagine di azionisti, l'ho fatto in rispetto alla Ue, ma noi abbiamo bisogno di un'Europa che ci aiuti e non che metta difficoltà a chi governa». Berlusconi ha comunque sottolineato che la strada principale resta la cordata di imprenditori italiani: «C'è una squadra di persone che va ben al di là del capitale necessario. Vedremo adesso di fare la due diligence. Quando avremo il piano industriale, questa compagine nuova, assistita da banche che già ci sono, avanzerà delle proposte ai sindacati». Solo allora - spiega il Cavaliere - si deciderà sui tagli al personale.
(Corriere della Sera)

Evvai, Silvio!

E' tempo di "aguzzare l' ingegno".

Paralizzata fra il rifiuto della modernità e l’esaltazione dei suoi aspetti più stupidi, la sinistra dovrebbe invece fermarsi a riflettere, riordinare un po’ le idee, convincersi che il Pci non c’è più (e neppure la Dc), che il mondo non ha bisogno di essere cambiato ma, finalmente, interpretato, e che soltanto fidandosi di se stessa potrà sperare di convincere gli italiani a fidarsi di lei.

Riporto questo paragrafo estratto dall' articolo di oggi sulla Stampa, a firma Fabrizio Rondolino, solo per invogliarvi a leggerlo tutto.

Si tratta di una delle analisi più intelligenti in cui mi sia mai imbattuto, sui travagli della sinistra in questo paese.

L' Italia ha bisogno di un forte partito social-democratico liberale tanto quanto ha bisogno di un centro-destra liberale.

Queste due forze devono alternarsi, almeno ogni 10 anni. La destra deve favorire l' accumulo della ricchezza nazionale e la sinistra, poi, favorirne una più equa distribuzione.

Insomma, ognuna di esse - arrivate al governo - deve recitare la sua parte senza pretendere di recitarle entrambe, e soprattutto ed ovviamente senza disfare quel che ha fatto l' altra!!

A mio avviso, se è vero che il PD non è ancora, neppure lontanamente, un partito socialdemocratico liberale è anche vero che neppure il centrodestra è ancora pienamente liberale.

A noi non rimane che sperare che, entrambi, trovino la volontà di raggiungere la meta a partire già dalla legislatura che sta iniziando in queste ore.

La situazione economica nazionale e internazionale non renderà certo agevole il cammino, al contrario, ma proprio questa difficoltà potrebbe far "aguzzare l' ingegno" e risvegliare le coscienze degli individui che costituiscono la nostra classe dirigente di governo e di opposizione.

"la rivolta delle viscere della capitale"

La frase del titolo conclude il bel commento di prima pagina del Corriere di oggi sul trionfo di Alemanno.

L' ho scelto perchè mi pare che spieghi quel che è davvero successo ieri a Roma.

Come ben sa chi segue questo blog, consideravo la eventuale vittoria di Alemanno come una ciliegina sulla torta della vittoria del centrodestra nelle elezioni politiche. Niente più di questo (anche perchè non credevo che Alemanno l' avrebbe spuntata).

Ebbene, sbagliavo. Avevo avuto sentore di questo mio errore di valutazione già ieri mattina, grazie all' articolo della Annunziata che avevo pubblicato, ma ne ho avuto piena conferma questa notte, ascoltando gli interventi di Mieli a Porta a Porta.

Sua Santità Paolo Mieli, rappresentante in terra dei Poteri Forti del nostro paese, ha finalmente affermato, con una quindicina d' anni di ritardo, che il centrodestra è pienamente legittimato a governare questo paese! Non è più un intruso, un fenomeno passeggero, una "anomalia" da combattere ferocemente, ma uno schieramento che ha l' appoggio pieno della maggioranza assoluta del popolo italiano.

Perchè Mieli ha detto questo solo stanotte e non 15 giorni fa? Cosa è cambiato, in questi giorni?
Cosa è successo?

E' successo che Alemanno è diventato Sindaco di Roma, con ciò completando, di fatto, il lungo percorso dello "sdoganamento" dei post fascisti.

Insomma, il famigerato "arco costituzionale" che ha costituito l' ossatura della politica di inciucio fra democristiani e marxisti durata 60 anni, è crollato DEFINIVAMENTE ieri pomeriggio.

Il 28 Aprile 2008 segna, a mio modesto parere, la fine della Prima Repubblica e la nascita - finalmente - della SECONDA.

Il nostro paese è finalmente pacificato: non esistono più cittadini di serie A e cittadini di serie B. Come nel sogno americano, qualsiasi cittadino - da ieri - può diventare Presidente.

Ora non ci resta che stare a vedere se anche i dirigenti e i militanti del PD hanno capito cosa sia successo ieri.

Io ne dubito. Un segnale lo sto cogliendo in questi minuti, mentre scrivo e contemporaneamente ascolto la notizia che i deputati del PD inizieranno la legislatura votando scheda bianca alla elezione del Presidente della Camera. Come dire che esprimeranno un voto di protesta per l' arroganza della maggioranza che ha deciso di non regalare agli sconfitti la Presidenza del Senato.

Le principali cariche dello Stato sono tre, Presidenza della Repubblica, del Senato e della Camera dei deputati. Secondo l' opposizione avrebbero dovuto averne due.

Perchè? Per premiare la loro superiorità morale, ovviamente. "Abbiamo perso le elezioni, ma siamo migliori di voi. Per questo, quando abbiamo pareggiato, la volta scorsa, ce le siamo prese tutte e tre. Ora che abbiamo perso, almeno due ci spettano"!

Credo che il mio pessimismo sia fondato.

lunedì 28 aprile 2008

Esclusiva! Rutelli e Veltroni lasciano la città ...

.... e si dirigono verso Ostia lido, sulle loro auto blu e relativi autisti, dove sono attesi per una simpatica porchettata organizzata da Goffredo Bettini.

Invitati illustri: Massimo D' Alema e Francesco Marini che si sono portati da casa forchette e coltelli affilatissimi.

Attesi anche Fassino che porterà barolo e dolcetto d' Alba e Rosy Bindi con il prosecco di Conegliano per il brindisi finale.

Ciliegina in arrivo .....


Alle 17.00, con metà sezioni scrutinate, Alemanno supera il 52 % mentre Rutelli è sotto il 48% ....

Quando l' Annunziata annunzia bene

Non mi succede spessissimo di apprezzare Lucia Annunziata, ma quando capita è perchè ha scritto un grande articolo. Quello che pubblico qui sotto lo è, perchè - come si suol dire - ha un "respiro più ampio" di quel che ci si aspetti, normalmente, da un pezzo giornalistico.

Diciamo che si tratta di un saggio, condensato in poche righe.
Buona lettura!










La Stampa

27/04/2008
Perchè tutti vogliono la Grande Meretrice
Città inciucio o camera di compensazione: la corsa è sempre qui.

Lucia Annunziata
Che un vento politico avviatosi quasi quindici anni fa al grido di «Roma Ladrona» si scateni alla fine proprio su Roma, non è affatto sorprendente.

A pensarci, anzi, non poteva che concludersi così. Quel sentimento contro Roma, iniziato come bandiera del separatismo leghista si è via via gonfiato, nel corso dell'ultimo decennio, di malcontenti e significati sempre più intensi. La Capitale è diventata il simbolo dei Palazzi, del Privilegio, dei Salotti, degli Accordi, e infine, tutta insieme, della Casta, il terreno dove fermenta, e si riproduce all'infinito, una classe dirigente, papalina o laica, estremista o moderata, tutta omologata alla fine da una cultura dell'immagine, della Tv, della distanza dal resto del Paese, e, dunque, dell'inefficienza. Avremmo avuto il risultato che c'è stato a queste ultime elezioni se al leghismo non si fosse coniugato questo sentimento Anti Casta? Avrebbero votato a destra pezzi della sinistra se le critiche alle élite politiche romane non si fossero fatte così aperte, dolorose ed esplicite ?

D'altra parte, il sentimento contro Roma «la Grande Meretrice» dell'Apocalisse di Giovanni, di San Bonaventura e di Lutero, non è la prima volta che spunta nella storia; e non sarà nemmeno l'ultima.

La contesa per Roma, anche in epoca moderna, ha sempre segnato l'inizio e la fine di fasi storiche - la Repubblica Romana del 1849, la breccia di Porta Pia, la fuga dalla capitale del Re Vittorio Emanuele III nel 1943, Roma città aperta, Roma delle Fosse Ardeatine, e quella degli scontri di piazza più violenti della storia repubblicana fra estremismi negli Anni Settanta. Tutto alla fine in Italia torna su Roma, prepotentemente.

Non ci vuole molto dunque a capire perché la sfida per la guida della Capitale, per cui si vota oggi, abbia catalizzato l'interesse e le passioni dell'intera nazione: lo scontro fra Rutelli e Alemanno ha infatti preso nei fatti il significato di una verifica del voto nazionale. Se anche Roma passa al centro-destra è la certificazione definitiva della forza del prossimo governo Berlusconi; se invece il centro-sinistra mantiene la capitale che ha guidato negli ultimi anni significa che non tutto è perduto, che proprio da Roma ricomincia subito la sua riscossa.

Ma è giusto vivere così intensamente questo scontro, o non è il solito riflesso mediatico; la solita proiezione, buffonesca e dissacrante, che Roma ama fare di sé stessa come nel brillante e autoreferenziale circuito intellettuale di Dagospia?

Purtroppo no. Sarebbe più rassicurante per tutti ridurre a un fatto nervoso la tensione di queste ultime ore fra Alemanno e Rutelli.

La verità è che questa corsa elettorale merita tutta l'attenzione che ha. Al di là dei luoghi comuni, e dei difetti, Roma rimane infatti il punto determinante nella gestione dello Stato. In maniera diversa da Milano, certo. Ma forse più rilevante. Se Milano decide infatti la composizione del potere, è a Roma che si definisce invece l'equilibrio del potere. Le forze che vi si muovono, pure così sfacciate e mondane per certi versi, sono la necessaria e inevitabile terra di cultura di ogni dialogo possibile; il luogo naturale in cui si scuciono e si ricuciono, ben prima della mediazione parlamentare, idee e rapporti di forza. La capitale è insomma tradizionalmente la camera di compensazione del governo nazionale.

Ha davvero un governo centrale bisogno di una funzione di questo tipo alle spalle, ci si potrebbe chiedere? Si potrebbe dire no, e farci anche una bella figura, appagando un po' di populismo anticasta (tanto a noi giornalisti non costa molto). Ma la verità è che tutte le idee e le mosse di governo hanno sempre bisogno di essere saggiate, provate, delineate prima di essere operative - e non tutti questi passaggi sono «inciucio». Da Roma operano le grandi Banche, e la Banca d'Italia, le direzioni delle industrie di Stato; operano Confindustria, i Sindacati, quasi tutta l'industria culturale italiana, sicuramente quella del cinema e della televisione, e sedi centrali o nazionali di molti giornali. Roma è il Papa, è la Vecchia Aristocrazia, nonché il paradiso dei Grandi Padri della Repubblica, e dei tecnici dell'alta burocrazia che mai cambia mentre tutto cambia. In questa città, che è anche il centro fisico della nazione, tutti questi poteri formidabili colloquiano con la Politica del governo. Filtrano opinioni e ipotesi, ricevono stimoli e segnali, aggiustano con il dito mignolo la direzione di una palla di neve, prima che arrivi a diventare una slavina. La ragione per cui posti «leggeri» come il ministero dei Beni culturali, o presidenze di istituti culturali, siano molto ambiti: la cultura è a Roma il liquido facilitatore di ogni rapporto.

Tutto questo è spesso definito, come si diceva, trasversalismo amorale, decadenza dei salotti. E' talmente forte questa idea che Bertinotti è caduto proprio sulle accuse di essere entrato in questo gioco. E certamente c'è sempre dietro l'angolo il pericolo che il dialogo divenga accordo, e l'accordo diventi criminale.

Ma non è necessariamente così. Roma sta al governo italiano come Washington sta al governo Usa, e come Parigi e Londra e Mosca stanno ai loro rispettivi governi. Nelle democrazie c'è sempre bisogno di una sorta di Bicamerale degli intenti, se non delle decisioni, e Roma è da anni la Bicamerale d'Italia a cielo aperto.

Che arrivi a guidarla dunque Rutelli o Alemanno farà una grande differenza non solo in termini di voti, ma anche e soprattutto nell'allineamento fra politica e poteri. Milano ha già fornito la prima tessera di questo equilibrio; Roma completerà, in un verso o in un altro, il puzzle.

La sinistra fra utopia e odio

Anche se vi consiglio VIVAMENTE di leggerlo tutto, traggo, dall' articolo pubblicato dall' amico Mauro sul suo blog, due brani che mi hanno colpito molto, perchè fa sempre piacere trovare conferme autorevoli alle proprie idee di fondo.

“Gli intellettuali - dice Hollander - sono spesso ostili nei confronti delle società capitalistiche perché queste non sono in grado di soddisfare i loro bisogni di senso e di realizzazione nella vita. E ciò accade perché le loro aspettative sono irrealistiche rispetto a quanto è possibile effettivamente tradurre in realtà”.

"Gli intellettuali occidentali, guidati dalla fantasia al potere e dalla presunzione fatale di costruire una società perfetta, il paradiso sulla terra, in realtà “volevano farsi ingannare”, erano predisposti psicologicamente a cadere nell’inganno".


domenica 27 aprile 2008

La giusta risposta di Ichino

Condivido pienamente le motivazioni al Gran Rifiuto che Ichino ha fornito oggi sul Corriere della Sera. Mi sono sembrate assai sensate e concrete. L' offerta di Berlusconi non mi era piaciuta comunque e mi sa tanto che sia stata farina del sacco di Gianni Letta, una "democristianata", insomma ...

Bisogna che il Cavaliere si metta in testa che con il "nemico" si tratta solo per negoziare la resa, quella sua o quella propria.

Il PD, finche non dimostrerà concretamente, in Parlamento e sui giornali che lo supportano, che la svolta veltroniana non era soltanto un inganno elettorale, rimane un nemico, perchè i suoi esponenti così hanno sempre trattato Berlusconi in particolare e chiunque non la pensi come loro, in generale.

La Sinistra ha un solo modo per dimostrare di voler diventare un "avversario" e non più un nemico: la qualità della sua azione di Opposizione.

La maggioranza, in Parlamento, proporrà le "sue" leggi e si dichiarerà disponibile a migliorarle ascoltando con rispetto i suggerimenti COSTRUTTIVI della minoranza, mentre respingerà - come è suo dovere - quelli DISTRUTTIVI e/o pregiudiziali. Punto!

L' opposizione fatta al precedente governo Berlusconi è SEMPRE stata di questo secondo tipo e niente, se non le promesse elettorali di Veltroni, può far ritenere che cambierà.

Quindi, la verifica è d' obbligo. Tutto ciò che precede questa verifica è aria fritta come, appunto, l' offerta fatta ad Ichino.

dedicato a chi voterà Rutelli


Ho appena "rubato" questo post al blog dedicato alla campagna per Alemanno Sindaco.

Lettura molto molto istruttiva per quei romani che ancora devono recarsi alle urne, ma anche per chi, come me, non ha questo problema ma vuole capire qualcosa sul tandem Rutelli-Veltroni!





La lobby che da 13 anni controlla la Capitale

Da “Il Giornale” un bell’articolo di Gianni Pennacchi.



Avete idea di quanti soldi ballino intorno al piano regolatore di una città come Roma? Trenta miliardi d’euro a dir poco, cioè sessantamila miliardi di vecchie lire, l’ammontare di un’intera finanziaria. È un mare di soldi, sul quale galleggia la piattaforma petrolifera della premiata ditta Veltroni & Rutelli. Un mare irrobustito dal fiume di spesa del bilancio comunale, quattro miliardi e mezzo d’euro all’anno, sgorganti dai trasferimenti dello Stato, le tasse cittadine, le sovvenzioni pubbliche alla capitale e le multe che i due sindaci del Pd han sempre più utilizzato come strumento per spremer le tasche dei loro amministrati. Col fiume e col mare, in 13 anni di permanenza sul Campidoglio Rutelli e Veltroni hanno alimentato una poderosa struttura di potere, hanno intrecciato una rete, anzi un groviglio di interessi che tiene insieme costruttori e industriali, banchieri e intellettuali, attori e volontariato, sindacati e corporazioni.
Vista la montagna d’oro su cui poggia il piano regolatore, si comprende perché Veltroni ne abbia atteso l’approvazione definitiva, prima di dimettersi da sindaco per correre candidato premier. O volevate lasciare l’ultima parola sul piano regolatore al commissario? Tant’è che i progetti accontentavano i costruttori romani, meno Caltagirone che vedeva troppo favoriti i fratelli Toti, suoi avversari. La notte prima degli esami finali, il sindaco uscente ha tolto un poco ai fratelli - che han regalato un teatro a Villa Borghese, dedicato al padre - per dare all’altro, facendo così felici tutti. Perché il Campidoglio olivetano è sempre stato amico di ogni costruttore romano, anche dei Santarelli, di Parnasi, di Bonifaci. Prima del piano regolatore, a colpi di «varianti» Roma s’era già ingentilita di oltre 11 milioni di metri cubi, una valanga di cemento. E di soldi.
«Palazzinari», li chiamano a Roma, anche se tiran su grattacieli e intere città. Lavorano, e grati son pronti a ricambiare con attenzioni, assunzioni, amicizia e disponibilità. Come mai l’unico quotidiano di centrodestra della capitale menava fendenti su Prodi e il governo di centrosinistra senza pietà, ma risparmiava il sindaco, anzi lo coccolava come ha sempre fatto la concorrenza? Veltroni è un mago della comunicazione, quand’era vicepremier dieci anni fa riuscì a soppiantare in Rai i dalemiani coi suoi, figurarsi le pagine di cronaca romana dei giornali amici. Come gli è riuscito il miracolo anche coi giornali avversari o indipendenti? Casualmente, i due quotidiani della capitale appartengono a costruttori.
È la continuità che lega e conserva il potere, generando il rosario Rutelli, Rutelli, Veltroni, Veltroni, Rutelli. Gianni Borgna passerà alla storia come l’assessore più longevo, ha retto la Cultura con ambedue i sindaci. Così Goffredo Bettini del resto, che ha innalzato, in verità senza successo, il «modello Roma» sullo scenario nazionale. Tra effimero, notti bianche e feste del cinema, i due sindaci sono arrivati a spararsi ogni anno una media di 60 milioni d’euro. In politiche per la sicurezza e per quelle giovanili, Roma spende un misero e complessivo milione all’anno, mentre al recupero delle sconfinate periferie son destinati 12 milioni all’anno. Volete mettere le feste e il cinema con gli scippi e i balordi delle bidonville? Spendere in cultura e spettacoli rallegra produttori e autori di cinema e tivù, lega al proprio carro il generone romano, le tribù delle terrazze, attori, nani e ballerine.
Si parla dell’immondizia di Napoli, ma a Roma la raccolta differenziata non è mai decollata, dal 7% lasciato da Rutelli nel 2001 s’è fermata al 18% di Veltroni. Non sarà forse perché il proprietario della discarica di Malagrotta era socio del Consorzio Trattamento Rifiuti al 49% e con l’Ama, nettezza urbana, al 51%? Discariche e raccolta differenziata non vanno d’accordo, l’incompatibilità è stata riconosciuta col nuovo millennio, ma gli usi e costumi non son cambiati. Quanto siano bravi in Campidoglio a far gli interessi cittadini, lo dice in lastra di bronzo la privatizzazione della Centrale del latte sotto il segno di Rutelli nel ’97: venduta alla Cirio di Cragnotti per 80 miliardi di lire, da questi rivenduta dopo pochi mesi alla Parmalat di Tanzi per 180.
Stupidi, ingenui in affari? Non si direbbe, guardando l’incastro di scatole cinesi messo insieme, una catena di matrimoni d’interesse a stringer legami con ogni potentato. Era il rifondarolo Smeriglio, in tempi non sospetti, a definire le circa 70 aziende partecipate «carrozzoni che servono a coltivare rapporti coi poteri forti e a procurare consensi», non il consigliere d’opposizione Rampelli. Tant’è che Chicco Testa, l’ambientalista più sveglio di ogni altro verde, passato dalla presidenza Acea (acqua e luce) a quella di Roma metropolitane, conservava ben 13 poltrone in altrettanti cda di organismi pubblici e privati, tra cui Ras (assicurazioni) e Telit (telefonini israeliani). Fabiano Fabiani, colonna storica dell’Iri, presidente dell’Acea e presente nel cda di Suez Enviroment, ha perso il posto in Rai assegnatogli da Prodi e Padoa-Schioppa solo per sentenza del Consiglio di Stato che ha reintegrato Petroni. Ai vertici delle aziende di trasporto ci sono ex sindacalisti, Raffaele Morese dalla Cisl, Fulvio Vento e Stefano Bianchi dalla Cgil. Vincenzo Gagliani Caputo, segretario generale del Comune, sta nel consiglio di amministrazione o nel collegio dei sindaci di Roma metropolitane, Assicurazioni di Roma e Car S.c.p.A. Luigi Spaventa, ex ministro di Ciampi, sta nel cda dell’Acea ma è presidente di Sator group che s’occupa anch’essa di acqua ed elettricità. Paolo Cuccia, amico di Rutelli e ai vertici di Eur spa, è stato vicepresidente di Capitalia e dirigente di Abn Amro Italia. Luigi Abete presidente della Bnl e Alessandro Profumo dell’Unicredit, sono amici e sostenitori dichiarati.
Se domani sera Rutelli dovesse scoprirsi nuovamente e ancora sindaco di Roma, dovrà riconoscerne gran parte del merito a questa robusta rete consolidata in 13 anni. Pur se a discapito delle buche sull’asfalto, i tombini intasati, le vecchine scippate.

Paolo è il papà di Sabina e Corrado ...

Vediamo di non dimenticarcelo! Come promemoria pubblico questo articolo di Guzzanti su Veltroni e le elezioni romane, che ho trovato irresistibile come l' imitazione che suo figlio Corrado faceva, a suo tempo, di "Valtere".

Buon divertimento!









il Giornale

27 Aprile 2008
Se perde la Capitale perde anche la testa

Paolo Guzzanti
Se Veltroni oggi perde Roma, perderà probabilmente anche la testa. E sarà un guaio perché un altro leader il Pd non ce l’ha. Ma se non perdesse Roma, cioè se vincesse Rutelli, il guaio sarebbe una catastrofe per Roma e dunque a conti fatti, meglio che muoia questo fragilissimo Sansone con tutti i suoi ancor più fragili filistei.

Su Veltroni abbiamo scherzato tante volte e io gli ho espresso qui una simpatia personale che è sincera: come politico è, per dirlo alla romana, «un sòla» perché scopiazza da tutti, don Milani, Bob Kennedy, Obama, sotto a chi tocca; come sindaco se paragonato ai sindaci delle grandi capitali europee è da mettersi a piangere, però, come dire, è simpatico, è fanciullesco.
Federico Fellini un giorno a Piazza del Popolo mi disse che Veltroni gli sembrava il compagno di liceo buono della foto di classe, quello con cui hai fatto la gita scolastica a Firenze.

Una volta andavo a certe sue riunioni mattutine al cinema Mignon dove infliggeva tremendi film con «seguirà dibbattito», tutti volti a promuovere lui, ancora con i capelli lunghetti. Giocava a fare il comunista furbo che non ci ha mai creduto davvero, che è sempre stato dalla parte dell’America ma di un’America rifritta alle Frattocchie e che si chiama l’altra-America. Con lui tirava sempre un’aria da album delle figurine, fumetti, vintage, remake, riciclaggio di cultura, e in tutto quel ciàpa-ciàpa ogni tanto qualcosa di gradevole ci finiva, nulla di fondamentale, ma di decorativo spesso sì. Su quello lui ha fondato un’immagine e su quell’immagine lui ha firmato il patto col diavolo Berlusconi.

Berlusconi gli ha detto: senti carino, tu hai il faccino pulito, ti metti lì, fai un partito alla Tony Blair, io ti riconosco, tu mi riconosci, io taglio i cespugli miei, tu tagli i cespugli tuoi, io vinco, tu perdi, ma alla fine della giostra ti ritrovi un giocattolino niente male che si chiama partito democratico, lontano da falci martelli e altri attrezzi della bella fattoria, ti alleni per cinque anni e poi se ci sai fare competi probabilmente col mio successore e forse ce la fai. Però devi pedalare se no il gelato ti si squaglia e resti col cono in mano.

Walter parte con la campagna del pulmino e dei pranzi a sbafo, sondaggi in livrea e telegiornali alla Riotta in polpe e tricorno, si fa venire delle idee: qui, pensa alla fine di marzo, posso addirittura farcela. Nel loft, un postaccio veramente loffio, già gli facevano la forca: «A’ Vàrtere, guarda che si perdi er Lazio e si vai sotto er trentacinque, nun è che torni a casa co’ la testa su le spalle. E poi, a moré, sta attento a Roma, ché Roma è ‘na cosa seria. Vàrtere, ce pare che la stai a pijà troppo sotto gamba». Vartere allarmato chiamava Berlusconi e gli chiedeva: come vado? E Berlusconi: «Dottor Veltroni, lei va come un treno».

I sondaggi che gli portavano parlavano di testa a testa. Il Lazio era saldamente in mano democratica, Roma poi non ne parliamo. Veltroni sudava, ma di speranza. La speranza era che il Pdl vincesse sì, ma di misura, con un Senato in sofferenza, il Lazio solidamente in mano sua, le regioni tradizionali stabili con non più di una perdita o due.

Invece fu lo tsunami. La botta arrivò quando la montatura degli exit poll finti fu sovrastata dalle schede vere e si capì che quel che Berlusconi aveva sempre detto, un gap intorno al 10 per cento, era perfettamente vero. Il Pdl incassava carte primiera ori settebello e quattro scope. Restavano i sindaci. Roma prima di tutto. Il Lazio era perso al Senato, e il Senato era andato di grasso per Berlusconi e la Lega. Veltroni gorgogliava sotto il livello di guardia.

Per la prima volta i sondaggi cominciarono a traballare per il candidato Rutelli, detto a volte ritornano, ma a volte non tornano più. Ventate di gelo nel loft. Francesco potrebbe soccombere sotto Alemanno contro il quale al Manifesto e all’Unità hanno cominciato a fare riti woodoo.

Se cade Rutelli per Veltroni si prepara la purga, il processo Slansky, la Beresina. Waterloo, gli hanno preparato il banchetto con cui passare tra le file del delegati vendendo figurine panini, aranciata birra coca.


Toh! Si comincia a parlare di federalismo!

A giudicare dall' analisi che oggi l' ambasciatore Romano affida alle colonne del Corriere si può finalmente cominciare a dire esplicitamente che lo stato centralista imposto dai piemontesi vincitori agli italiani degli altri stati prerisorgimentali, sia stato un errore di proporzioni colossali di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze.

Che lo si venga a dire solo dopo che un diplomato della Scuola Radio Elettra (Bossi) lo grida - invano - da vent' anni, non sconvolge più di tanto i nostri intellettuali alla Romano.


Gli intellettuali (e i professori universitari in particolare) hanno i loro tempi, si sa, e occorre rispettarli, tanto - a loro - dei fatti concreti della vita interessa assai poco. Loro vivono nell' empireo delle loro idee da cui non scendono se non quando la merda della realtà si accumula fino a raggiungerli, lassù!


Vabbè, e inutile inveire contro l' inevitabile e accontentiamoci di esclamare: meglio tardi che mai!

Cacciari, che ha avuto il tempo di fare il sindaco davvero (forse perchè un Festival del Cinema lo ha ereditato già bello e pronto al contrario di Veltroni che - poveretto - ha dovuto dedicare tutte le sue energie di Amministratore per crearlo), dopo l' esito di queste ultime elezioni ha suggerito al segretario nazionale del PD di creare un PD per il Nord che si federasse con quello del Centro e quello del Sud.


Idea brillante per Romano, per Cacciari e, modestamente, per me. Solenne stronzata per Veltroni che l' ha subito bocciata: "L' Italia è una e indivisibile e così è e deve rimanere il "mio" PD", pare che abbia esclamato con fierezza garibaldina.

Quel che mi stupisce non è la risposta di Veltroni (che è un dilettante del pensiero) ma è la richiesta di Cacciari (che faceva il pensatore di mestiere, prima di abbracciare il mestiere concreto di amministratore della cosa pubblica).

Ma davvero, Cacciari, dopo tanti anni di militanza, non ha ancora capito di che tempra sono fatti i suoi compagni di partito? Davvero crede che quel ha insegnato a lui il duro mestiere di Sindaco, lo abbia insegnato anche ad un Veltroni? Davvero crede che l' esperienza concreta possa prevalere sulla ideologia, quando l' ideologia è coltivata da un imbecille e costituisce il suo unico sostegno, la sua unica ragione di vita?
Davvero Cacciari non sa che se togli ad un cretino la sua ideologia non gli rimane nulla?

Nel caso specifico di Veltroni, poi, Cacciari, con la sua proposta, non ha solo tentato di togliergli l' idologia, ma persino il potere di dominus nazionale di un intero partito!


Cacciari, Cacciari, o sei un ingenuo oppure sei davvero crudele! Non si portano via i giocattoli ad un bambino, specie quando questi sia ospite in un asilo per diversamente abili .....

Bossi l' ha spuntata e il Cavaliere pure

A prendere per buono questo articolo della Stampa sul totoministri, Bossi è riuscito a trombare Gianni Letta (e sia resa lode al Senatur per questo) e Berlusconi a trombare Calderoli (e sia resa lode al Cavaliere per questo). Sarebbe stata una accoppiata di vicepremier davvero nefasta.

Letta è un democristiano della specie peggiore e Calderoli un po' troppo buzzurro persino per gli standard della Lega. Per quanto, su Calderoli , una considerazione va fatta.

Io ho sempre seguito negli ultimi anni, sia pure saltuariamente, i lavori delle Camere sintonizzandomi sui rispettivi canali satellitari. Nei mesi del Governo Prodi, l' ho fatto molto più spesso (specie quelli del Senato, per ovvi motivi).

Ebbene, Calderoli, in qualità di vice-Presidente del Senato, mi ha sempre piacevolmente sorpreso: appariva molto più preparato degli altri vice-Presidenti e persino dello stesso Marini che non apriva mai bocca se non dopo essersi consultato con i funzionari che lo assistevano. Risultava evidente, insomma, che non si era mai studiato i regolamenti parlamentari, cosa che invece aveva fatto diligentemente Calderoli.

Non solo. Calderoli riusciva a "governare" le intemperanze dell' aula con molta più determinazione e autorevolezza, cioè era molto più ascoltato dai colleghi di quanto lo fossero gli altri.

Ciò detto, confermo che come Vice Premier non sarebbe stato .... "esteticamente" adatto: si tratta di una carica troppo pubblica, troppo esposta. Scommetto, infatti, che pochi italiani sappiano che Calderoli fosse vice-Presidente del Senato.

sabato 26 aprile 2008

Ricolfi e un appello: leggete il blog di Camelot!

Consiglio a tutti di leggere puntualmente i post dell' amico Camelot che si è rivelato, in questi due mesi scarsi in cui l' ho "scoperto", il blogger più serio e preparato che mi sia capitato d' incontrare.

Non sono d' accordo con lui su tutto, ma quasi. Le sue analisi sono comunque sempre puntuali, fondate ed interessanti e tanto basta anzi, va di lusso, in questo paese dove essere informati onestamente e compiutamente è impresa titanica!

Nella mia sidebar troverete sempre i link dei suoi ultimi 5 interventi, alla voce "Camelotdestraideale.it"

Grazie ad un suo post, ho appena saputo che Ricolfi ha una rubrica su Panorama (dal titolo significativo di Fatti&Credenze) e che, nell' ultimo numero, c'è un suo articolo che definire STREPITOSO è poco (lo pubblico qui sotto).

Perchè strepitoso? Perchè smentisce clamorosamente tutte le balle del centrosinistra sull' argomento risanamento conti. Quelle balle che hanno interrotto, purtroppo, l' opera del 2° Governo Berlusconi.

Prego l' amico Mac, in particolare, di leggerselo attentamente e chissà che gli si schiuda finalmente quella parte della sua mente (quella politica, perchè l' altra è ben aperta e lucida) che è ottenebrata dalla propaganda della sinistra.

Ho evidenziato le parti salienti, ma non perdetene una parola, datemi retta!


PANORAMA








Adesso che sappiamo chi ha vinto le elezioni, possiamo cercare di farci un’idea di quel che ci aspetta. Quando ci si pone questa domanda, di solito si adotta uno schema piuttosto semplice che dice: con la sinistra più spesa pubblica, più tasse, più attenzione ai conti pubblici, con la destra meno spesa pubblica, meno tasse, meno attenzione ai conti pubblici. Ma è vero? Sì e no. Dipende se ci chiediamo come sono andate le cose durante gli anni centrali delle varie legislature, o ci chiediamo invece che cosa è cambiato fra l’inizio e la fine di una legislatura.

Prendiamo la pressione fiscale. È vero, con Silvio Berlusconi (2002-2005) abbiamo pagato meno tasse che con i governi di sinistra precedenti e successivi, ma è anche vero che Berlusconi, come Penelope, nell’ultimo anno del suo governo ha dovuto disfare la tela che aveva tessuto negli anni precedenti. Aveva ereditato, nel 2001, una pressione fiscale al 41,3 per cento, l’ha abbassata nel triennio 2002-2005, ma nell’ultimo anno (2006) l’ha dovuta far risalire al 41,9 per cento per raddrizzare i conti pubblici (il dato è al netto dell’ulteriore aumento di pressione fiscale dovuto al decreto Visco-Bersani del luglio 2006). Detto brutalmente: nel 2001 il ministro Vincenzo Visco aveva lasciato la pressione fiscale a un certo livello ma, dopo cinque anni di governo Berlusconi, la pressione fiscale era maggiore e non minore. Paradossale, o no?

Si potrebbe pensare che, almeno, sia fondata la credenza secondo cui la destra sfascia i conti pubblici e la sinistra li risana. Dopotutto da anni ci ripetono che, durante il governo Berlusconi (2005), l’Unione Europea ha dovuto avviare una procedura per deficit eccessivo, mentre ora, grazie all’azione risanatrice di Visco e Tommaso Padoa-Schioppa, il nuovo governo di destra eredita conti pubblici in ordine e la procedura contro l’Italia sta per essere ritirata. Ma è davvero così? Dipende da come raccontiamo la storia, o meglio da quante informazioni nascondiamo. Contrariamente a quel che si crede, l’Italia non è uscita dai parametri di Maastricht (3 per cento di rapporto deficit/pil) nel 2005 bensì nel 2001, ossia nell’ultimo anno «in carico» al vecchio governo di centrosinistra. L’Europa se n’è accorta solo alcuni anni dopo perché le revisioni contabili sono lente e ci sono voluti diversi anni per scoprire che il deficit del 2001 non era dell’1 per cento (come sostenuto dal centrosinistra) bensì del 3,1. Nel frattempo il governo Berlusconi aveva riportato il deficit al di sotto del 3 per cento nel 2002, ma era tornato a oltrepassare pericolosamente la soglia nel triennio 2003-2005, rendendo inevitabile la procedura per deficit eccessivo.

Ma possiamo, almeno, riconoscere al centrosinistra il merito di aver riportato il deficit sotto il 3 per cento (nel 2007) e avviato il risanamento dei conti pubblici? Forse sì, forse no. Il centrosinistra ha accusato il centrodestra di aver lasciato il deficit del 2006 al 4,4 per cento, ma poco per volta un’altra verità sta emergendo. Dentro quel 4,4 ci sono due decisioni contabili arbitrarie (sentenza Iva e accollo del debito delle Ferrovie), senza le quali il deficit del 2006 sarebbe risultato pari al 2,5 per cento, al netto del decreto Visco-Bersani. L’Istat ha già ammesso l’erroneità della prima decisione e ridotto il deficit del 2006 dal 4,4 per cento al 3,4.

È possibile che anche il carattere politico della seconda venga prima o poi riconosciuto. In tal caso dovremmo concludere che è l’ultima Finanziaria di Giulio Tremonti ad averci fatti rientrare nei parametri di Maastricht, e che in questi due ultimi anni non c’è stato alcun risanamento dei conti pubblici: il deficit era al 2,5 per cento nel 2006, è sceso all’1,9 nel 2007, ma, secondo le ultime stime, tornerà in prossimità del 2,5 per cento nel 2008.

Veltroni, "senza argomenti e senza qualità"

La definizione, virgolettata, del titolo è di Cicchitto, coordinatore di FI. "Alla faccia dei rapporti corretti con l' opposizione", direte voi, e avreste ragione se non fosse per il piccolo particolare che Veltroni se l' è cercata.

Come? Oibò, continuando a fare il maestrino di correttezza democratica.

Sentire cosa ha detto ieri (Corriere della Sera): «Siccome le cose hanno un valore simbolico - ha affermato Veltroni - il fatto che Berlusconi abbia voluto ricevere un uomo che non ha mai smesso di dichiarare la sua continuità politica con il fascismo è evidentemente un segnale politico che marca una distanza molto profonda e molto grave con tutti gli italiani che festeggiano il giorno in cui in Italia si è ritrovata la libertà». Secondo il leader del Pd quella di oggi «è una grande festa di libertà e Berlusconi ha voluto celebrarla ricevendo coloro i quali stavano dalla parte di chi la libertà l'ha proibita. Un atto di questo genere è un gesto anche di sfregio nei confronti dei democratici e di questa grande pagina che ha riguardato la storia italiana».

Lascio a voi il piacere di scoprire, leggendovelo nell' articolo linkato, cosa abbia determinato tanto sdegno patriottico e democratico.

A me preme solo sottolineare che Veltroni continua, imperterrito, a parlare di aria fritta.

Non che abbia mai fatto niente più di questo in tutta la sua vita, ma visto che, da quando tre milioni di suoi concittadini lo hanno incoronato Segretario plenipotenziario del PD, si è atteggiato a fondatore di una nuova Italia e grande statista, mi aspetterei di sentire uscire dalle sua labbra qualcosa di meno infantilmente stizzoso ed inconsistente.

Questa osservazione mi porta alla mente il Rutelli di ieri a Matrix, per il faccia a faccia finale della sua campagna elettorale: ieri notte l' ho definito penoso. Stamattina aggiusto il mio giudizio e lo definisco .... veltroniano e basta.

La giornalista russa non ha pianto

Ad ennesima conferma che la vera informazione, in Italia, non la fanno i giornalisti ma i comici, Chiambretti ci ha fatto sapere, a tarda notte purtroppo, come sono andate davvero le cose in Sardegna, quando Berlusconi ha "mitragliato" con le dita la giornalista russa rea di aver posto una domanda imbarazzante a Putin.

Chiambretti, dunque, si è collegato in diretta con Mosca ed il suo corrispondente locale, un giornalista italiano buffo come un puffo, ha intervistato la famosa giornalista rimasta vittima - secondo i nostri cronisti OdB - dell' intolleranza dei due dittatori che l' avevano fatta piangere.

La biondina in questione, assai carina per altro, possiede un sorriso smagliante e l' ha usato per farci sapere - in primis - che non aveva affatto pianto, dopo la mitragliata di Berlusconi e l' occhiata gelida da KGB di Putin: ha dichiarato che si era assai emozionata per aver avuto la ventura di poter rivolgere una domanda in una conferenza stampa tenuta da due personaggi tanto illustri. Occasione che era straordinaria, per lei, in quanto fa, abitualmente, un giornalismo di redazione più che di cronaca sul campo. Insomma, era una esordiente, una neofita emozionata come una studentessa al suo primo esame universitario.

Ma il bello è venuto quando ha raccontato il dopo conferenza. Berlusconi e Putin, scesi dal palchetto, si sono avvicinati a lei. Il Cavaliere l' ha presa sottobraccio con fare galante- possessivo e ha detto a Putin che voleva tenersela qui in Italia, al che l' altro, sorridente, ha risposto che una giornalista così brava e così carina non era cedibile!

A conclusione del collegamento, la ragazza ha asserito, tutta contenta, di essere diventata molto famosa, in patria. Della serie che Berlusconi è come re Mida: tutto ciò che tocca si trasforma in oro.

Ora, confrontate quanto sopra con la cronaca che ci hanno ammannito i nostri giornali e avrete una idea di cosa sia la manipolazione (sistematica) della verità di cui ho parlato ieri. Ricerchina su Google ed ecco i titoli:

La Repubblica: "Putin, è vero che divorzia? E Berlusconi fa il gesto del mitra"
La Fnsi: "Gesto imbarazzante. In Russia uccisi 200 giornalisti in 10 anni"
A fine conferenza stampa, la cronista di Mosca scoppia in lacrime.

La Stampa: "Gaffe di Berlusconi che mima il mitra"


Agenzia Radicale: "Putin-Berlusconi. Tra una battuta sulla Cecenia e mimare di sparare ad una giornalista russa"
I radicali Boni e Mellano: "Se il buon giorno si vede dal mattino".

A seguire, se avete tempo da perdere, il popolo trinariciuto dei blog di sinistra: invettive feroci contro il "mitragliatore" ...